Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, torna a parlare dell’attualità dell’ex Ilva di Taranto durante una presentazione nella città pugliese. Il leader del secondo settore volge indietro lo sguardo e ammira desolato il declino iniziato nel 2012, quando la grande acciaieria ionica fu travolta dal primo di una lunga serie di scandali giudiziari.
I fatti hanno dimostrato una cosa, ossia che l’amministrazione pubblica commissariale non ha risolto il problema ma lo ha solo aggravato
Carlo Bonomi, presidente di Confindustria
Oltretutto, proprio in mattinata si è verificato un nuovo infortunio sul lavoro nell’ex Ilva. Ferito un 45enne, la cui mano è stato schiacciata da un avvolgitore del rotolo di lamiera, costringendo così l’uomo all’immediato ricovero in ospedale. Le sue condizioni sono critiche, dal momento che rischia l’amputazione di tre dita.
L’episodio manda sul piede di guerra l’Usb, la principale sigla sindacale dei lavoratori ex Ilva, i quali parlano di “incidente inevitabile a causa delle condizioni precarie, causate dalla massiccia cassa integrazione, e dalla manutenzione scarsa“. Un altro segnale che la situazione interna è letteralmente drammatica.
Ex Ilva, Bonomi plaude all’incontro tra amministrazione e sindacati
Carlo Bonomi descrive poi il declino attuato nell’ultimo decennio dall’ex Ilva, diventata un brutto anatroccolo da un meraviglioso cigno
Anni di errori che hanno trasformato una delle più grandi acciaierie a ciclo integrato a caldo d’Europa in un problema sempre più serio e ingarbugliato
La visita in Puglia del leader degli industriali arriva a stretto giro rispetto all’incontro avvenuto lo scorso 31 gennaio presso la sede romana di Confindustria tra i sindacati e Acciaierie d’Italia, la società controllata da Arcelor Mittal che fa capo all’intero stabilimento. Un evento che segna un timido passo verso il disgelo, dal momento che non vi erano presenti proprio le Usb.
Oggetto del contendere fu il nuovo piano industriale e di investimenti, che ha ripreso vigore dopo l’aumento di capitale da 750 milioni di euro ratificato (di cui quasi 700 versati dallo Stato tramite il Mef in quanto azionista di minoranza di Arcelor Mittal). Tuttavia, il rischio è che questa montagna di denaro sia appena sufficiente a coprire i debiti energetici nei confronti di Snam, Eni e Sanac.
Il punto di collasso è dunque vicino, specialmente se i livelli di produzione dovessero rimane stagnanti. Per il 2023 è previsto aumento capacitivo del 15%, da molti ritenuto insufficiente, anche grazie ad alcuni interventi di ammodernamento che riguarderanno i cinque altiforni dell’ex Ilva
In partenza piano di decarbonizzazione
A fare il riassunto dello stato di avanzamento dei lavori è Franco Bernabé, presidente di Acciaierie d’Italia, qualche giorno fa in audizione al Senato.
Nel suo discorso il numero uno dell’ex Ilva ha sottolineato che “il mercato dell’acciaio è stato profondamente segnato da due eventi straordinari, come la pandemia e il conflitto russo-ucraino”, aggravando così la crisi debitoria. Senza troppi giri di parole, Bernabé conferma che se i debiti non saranno saldati il rischio di stop alla produzione sarà pressoché certo.
Parlando di investimenti, Acciaierie d’Italia ha intrapreso un piano decennale di decarbonizzazione per l’abbassamento delle emissioni inquinanti. Non solo, perché serve una stabilità di base data da una forza lavoro solida, che oggi invece è completamente assente. Senza occupazione non si può ipotizzare alcuna transizione ecologica.
A livello puramente finanziario le previsioni di spesa fino al 2029 consiste in un esborso stimato di circa 4,5 miliardi di dollari, che completeranno l’elettrificazione degli altiforni. L’obiettivo previsto, e oggi irraggiungibile anche solo temporalmente, è di avere un impianto alimentato esclusivamente a idrogeno verde nel 2032.