All’indomani dell’approvazione della legge sull’Autonomia differenziata, la Fondazione Gimbe ha elaborato un report sul Ddl di Calderoli intitolato ‘Il regionalismo differenziato in Sanità’. Secondo Nino Cartabellotta (presidente della Fondazione) questo decreto “aumenterà le disuguaglianze regionali e legittimerà normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute”.
Autonomia differenziata, l’analisi di Gimbe
La fondazione ha analizzato la bozza del Ddl e valutato il potenziale impatto sul Servizio sanitario nazionale delle autonomie richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto:
Dalla fotografia sugli adempimenti al mantenimento dei Lea (Livelli Essenziali di Assistenza) relative al decennio 2010-2019 – spiega il report – emerge che le tre Regioni che hanno richiesto maggiori autonomie si collocano nei primi 5 posti della classifica, rispettivamente Emilia Romagna (prima), Veneto (terza) e Lombardia (quinta), mentre nelle prime 10 posizioni non c’è nessuna Regione del Sud e solo 2 del Centro (Umbria e Marche).
Tale analisi confermerebbe anche il profondo gap tra Nor e Centro-Sud, visto che “nel decennio 2010-2019, tredici Regioni, quasi tutte del Centro Sud, hanno accumulato un saldo negativo pari a 14 miliardi di euro. E tra i primi quattro posti per saldo positivo si trovano sempre le tre Regioni che hanno richiesto le maggiori autonomie: Lombardia (+6,18 miliardi), Emilia-Romagna (+ 3,35 miliardi), Toscana (+ 1,34 miliardi), Veneto (+ 1,14 miliardi). Al contrario, le cinque Regioni con saldi negativi superiori a 1 miliardo sono tutte al Centro-Sud: Campania (- 2,94 miliardi), Calabria (- 2,71 miliardi), Lazio (- 2,19 miliardi), Sicilia (- 2 miliardi) e Puglia (- 1,84 miliardi).
Nel documento si sottolinea anche che “alcune forme di autonomia rischiano di sovvertire gli strumenti di governance del Servizio sanitario nazionale, aumentando le diseguaglianze nell’offerta dei servizi”.
Oggi, si legge, “l’abolizione dei tetti di spesa per il personale sanitario e l’istituzione di contratti di formazione-lavoro per anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro di specialisti e medici di famiglia rappresentano strumenti fondamentali per fronteggiare la grave carenza di personale sanitario che andrebbero estesi a tutte le regioni”.
La questione dei Lep
Alla base del problema ci sarebbe il nodo dei Lep. In base alla versione del disegno di legge approvata, i Livelli essenziali delle prestazioni non dovranno solo essere garantiti, ma anche finanziati prima di trasferire le funzioni alle regioni. Ancora non è chiaro però quali saranno i parametri che saranno usati per finanziarli. Inoltre, i Lep saranno definiti attraverso Dpcm da una apposita Commissione Tecnica e, in quanto atti amministrativi, potranno essere impugnati solo davanti al Tar, ma non davanti alla Corte Costituzionale.