Gli inquirenti sospettano che possa essere stato un gesto premeditato, quello di Adalgisa Gamba, la 41enne di Torre del Greco accusata dell’omicidio volontario del figlio di appena due anni e mezzo, morto annegato in mare il 2 gennaio 2021. Detenuta nel carcere femminile di Pozzuoli, la donna sostiene di avere dei vuoti di memoria e di non ricordare quanto accaduto sulla spiaggia di Torre del Greco quel fatidico giorno; per la difesa, sarebbe arrivata all’estremo gesto perché affetta da depressione post partum; per il pm, invece, alcuni ritrovamenti sui suoi dispositivi farebbero pensare alla premeditazione.

Torre del Greco bambino annegato: ipotesi premeditazione per la madre

L’ha ucciso perché si era convinta che il bambino fosse autistico. Era stato questo il primo, tragico sospetto degli inquirenti dopo la scoperta dell’uccisione del piccolo Francesco, di appena 2 anni e mezzo, morto annegato per mano della madre all’inizio del 2021. Secondo quanto confermato in parte dalla confessione di Adalgisa – questo il nome della donna accusata di omicidio volontario -, alcuni comportamenti del bimbo l’avevano convinta che potesse essere affetto da un “ritardo mentale”. Per la difesa, la donna avrebbe compiuto l’estremo gesto in un momento di black out dovuto alla depressione in cui era entrata dopo il parto. Per il pm, invece, alcuni elementi farebbero pensare alla premeditazione.

Era uscita con il piccolo, il suo secondo figlio, per “fare una passeggiata”, ma il marito, non vedendoli rientrare, allarmato, si era messo sulle loro tracce, trovando la 41enne in serata, in mezzo al mare, con il bambino morto annegato ancora tra le braccia. “Abbiamo sentito arrivare dal mare le richieste di aiuto. Ci siamo incuriositi, abbiamo visto delle persone che si dirigevano verso la spiaggia. Un uomo si è spogliato e si è gettato in acqua. Abbiamo capito poi che era il padre del bambino. La signora si trovava verso l’estremità della scogliera. Il padre stava riportando il bimbo a riva, ma aveva difficoltà. Abbiamo deciso di tuffarci anche noi. Ma già portando il bambino verso terra, mi sono accorto che non dava segni di vita”, aveva raccontato uno degli adolescenti intervenuti sul luogo del ritrovamento per cercare di salvare Francesco.

Solo il giorno prima la donna lo aveva accompagnato da uno psichiatra infantile per capire se avesse dei problemi; forse proprio nel timore di scoprire che le sue paure venissero confermate lo aveva ucciso. A riportare i messaggi inviati dalla donna al marito nei giorni precedenti al delitto è stato Il Mattino. “Quanto è brutto”, risponde ad una foto del bambino, in tono scherzoso. “Cicci non vuole dormire. Secondo te lo vuole il ciuccio, o vogliamo farlo schiattare così perde il vizio?”, si legge in un altro. “La situazione è terribile, c’è qualcosa che non va”, scrive poi, facendo riferimento al fatto che il bimbo piangeva e non voleva addormentarsi. Secondo la difesa, le emoticon usate dalla donna dimostrerebbero che il suo fosse un tono giocoso. “Hanno capito come ho ucciso mio figlio?”, continuerebbe a chiedere l’imputata ai suoi legali nel corso dei colloqui in carcere.

Ma sul telefono cellulare rinvenuto dai sommozzatori in acqua le ricerche fatte su Google dalla donna farebbero pensare ad altro: che sia stato un gesto premeditato. “Morte bimbo strangolato”, “buttare figlio in mare”, “bambino ucciso perché piangeva”, “ucciso con candeggina”, “strage familiare”, “ucciso figlio disabile”, “aggressione con coltello pena” sono solo alcune delle tante. Secondo l’accusa la donna voleva capire cosa rischiava e questo proverebbe la premeditazione. Secondo la difesa, costituiscono invece la prova oggettiva che stesse male. Ad accertarne una volta per tutte la capacità di intendere e di volere sarà la perizia psichiatrica affidata al dottor Alfonso Tramontano.