Diversi anni fa mi ritrovai coinvolto nel Caso Marta Russo, in quanto frequentavo e collaboravo nell’Istituto di Filosofia del Diritto della Sapienza, materia in cui mi ero laureato nel lontano 1983. Vissi in prima persona quel fenomeno che potremmo definire di “costruzione del colpevole”, che procedeva di pari passo con la colpevolizzazione e la criminalizzazione di un ambiente.
Si era deciso, ad un certo punto delle indagini, forse perché non si era trovato di meglio, che il colpo che uccise Marta Russo era partito dall’Aula VI, l’allora biblioteca dell’Istituto. Se ne dedusse che a sparare fosse stato qualcuno che lavorava o frequentava l’Istituto in questione, anche se la porta dell’aula era aperta e qualsiasi persona avrebbe potuto accedervi. Con un’ulteriore azzardo sillogistico si sostenne che coloro che frequentavano l’Istituto direttamente o indirettamente erano coinvolti, che comunque avrebbero dovuto sapere qualcosa. Ci si riferiva ad almeno 30/35 persone fra docenti, ricercatori, borsisti, cultori della materia, personale amministrativo, custodi, bibliotecari, dottorandi. Poiché questi eterogenei soggetti, che a vario titolo frequentavano l’Istituto, non fornivano elementi utili alle indagini se ne dedusse e si riempirono le cronache con l’accusa infamante di omertà, se non complicità con l’assassino o gli assassini di Marta Russo. “Gli omertosi di Filosofia del Diritto” divenne un luogo comune, un’espressione che mi capitò di sentire più volte persino facendo colazione al bar sotto casa, o in pizzeria con amici.
A distanza di più di 25 anni, nessuno mi ha ancora detto che cosa avrei dovuto dire che non ho detto sulla vicenda in questione, ma questo vale anche per quanti frequentavano l’Istituto di Filosofia del Diritto, a parte le due smemorate che dopo mesi ricordarono di aver assistito alla scena di un delitto prima rimossa e ai due presunti colpevoli: quello che sparò e l’amico che preferì farsi qualche anno di carcere piuttosto che ammettere di aver assistito anche lui alla scena di un delitto a cui era estraneo.
Ricordo, e come potrei non ricordarlo, che giornali, televisioni, stazioni radio, social e quant’altro, comprese le dichiarazioni estemporanee dell’esperto o del personaggio di turno, compirono una sistematica opera di denigrazione non solo di quanti frequentavano l’Istituto in questione, ma di tutto ciò che in vario modo poteva ricollegarsi ad esso. Persino la materia che insegno, Filosofia del Diritto, fu da alcuni colti giornalisti presentata come una sorta di astratto e pericoloso viatico per il malaffare. Non si criminalizzarono Platone e Cicerone, solo perché probabilmente si ignorava che erano stati i maggiori filosofi del diritto dell’antichità.
Io finii sotto inchiesta, con tutto il personale amministrativo dell’Istituto dove avevo lavorato per anni come bibliotecario, anche se all’epoca dei fatti ero ricercatore a Roma Tre. L’accusa era quella di aver falsificato orari di entrata e di uscita dall’Istituto. Se ci fosse stato il rinvio a giudizio, avremmo dovuto rispondere di illeciti e reati di vario genere, con gravi conseguenze sulle carriere e sulle vite degli interessati. Si andarono a controllare le vicende professionali e lavorative di tutti i frequentanti l’Istituto e si scoprì, ad esempio, che una delle due smemorate era stata assunta grazie a una presunta invalidità che non aveva. Periodicamente si cambiava la versione sui presunti motivi che avrebbero spinto i presunti colpevoli, individuati in Scattone e Ferraro, a compiere l’insano gesto: sarebbero stati due lettori di Nietzsche che volevano imitare il Superuomo annunciato da Zarathustra e dalle Cronache Romane; erano due appassionati di giochi di ruolo, con tanto di sparatoria finale; erano due pericolosi sadici che riuscivano persino a intimidire il Direttore dell’Istituto, che si ritrovò agli arresti domiciliari, episodio che fece tornare la memoria alla povera segretaria fino ad allora smemorata. Io ricordo che telefonai ad un magistrato che conoscevo da anni e gli chiesi se poteva dedicarmi 10 minuti, per un parere e un consiglio, ma mi rispose che non aveva tempo. Rilasciai alcune interviste alla Stampa di Torino e al TG Tre della RAI e dopo qualche giorno mia sorella si ritrovò la polizia dell’Università nel suo studio, che si presentò con l’articolata perifrasi: “Allora? Tuo fratello?”.
A che cosa serviva criminalizzare un ambiente, mettere sotto pressione le persone e presentarle come omertose, se non fiancheggiatrici di due (presunti) criminali? A giustificare misure repressive o intimidatorie come l’arresto di Romano, poi assolto in giudizio, a isolare i presunti colpevoli e i loro fiancheggiatori, altrettanto presunti, a stimolare ritorni di memoria su sparatorie rimosse, a preparare il clima giusto per la condanna. Condanna non scontata, visto che non si era trovato nulla di meglio che l’ipotesi di un giovane dottorando che compiva il delitto perfetto, sporgendosi da una finestra con una pistola in mano, di fronte ad una vetrata dietro la quale, a poche decine di metri, si trovavano aule con lezioni in corso frequentate da centinaia di studenti. Per giunta sparando davanti ad un collega, una segretaria d’Istituto e un’altra borsista!
L’evasione fiscale come invenzione: il “caso” Unicusano
Perché parlo della mia esperienza traumatica in quell’ episodio, per molti versi triste, che fu l’uccisione della giovane studentessa Marta Russo? Perché mi sembra di rivivere in questi giorni, per fortuna su scala ridotta, atmosfere e “logiche” simili nella vicenda della presunta evasione fiscale dell’Unicusano, Ateneo in cui mi onoro di insegnare da 14 anni.
I fatti sono noti, o almeno la versione della Guardia di Finanza e di certi Media della Penisola: “ Evasione fiscale record di 20 milioni di euro. Ferrari, elicotteri e viaggi anziché pagare le tasse”. Ovviamente si parla di Stefano Bandecchi, padre/padrone dell’Unicusano e da descrizioni come quella riportata sembra quasi di vedere il Presidente su una rossa Ferrari, che circondato da belle donne parte da via don Carlo Gnocchi, verso mete esotiche, con il vento in poppa, almeno fino a Gibilterra, per poi salire sull’elicottero Augusta verso i Tropici ed infine paracadutarsi fra le palme di un Atollo, memore dei trascorsi alla Folgore. Sto facendo dell’ironia? Io si, ma ho letto cose simili su Il Fatto Quotidiano, dove Bandecchi dalla Ferrari passava all’elicottero, senza però paracadutarsi da nessuna parte.
Bandecchi è un evasore fiscale? Oppure un pilota da Gran Premio, o un elicotterista? Non lo so. E quando non conosco la realtà non ne parlo o mi informo. E così ho letto le contestazioni, dalle quali si capisce che all’Unicusano non sono stati addebitati incassi non registrati, nè costi fittizi, ma l’applicazione del regime giuridico ordinario delle università sui redditi derivanti dalle tasse d’iscrizione. Me l’ha confermato Giovanni Puoti, che è il consulente fiscale dell’Unicusano ed uno dei maggiori esperti di diritto tributario a Roma, il quale mi ha fatto leggere un parere di Raffaello Lupi, professore ordinario di Diritto Tributario a Tor Vergata ed esperto di fama nazionale. Entrambi, ma non sono i soli, sostengono che la Guardia di Finanza ha preso un abbaglio. Non contento ho chiamato personalmente Raffaello Lupi il quale mi ha detto, in sintesi: “Hanno applicato la disciplina delle associazioni sportive, circoli culturali, ecc. alle università non statali che non hanno gli stessi vincoli”. Il che significa che l’Unicusano in quanto Università privata non ha vincoli di destinazione dei suoi utili. Questo vuol dire, se non fosse ancora chiaro, che Stefano Bandecchi, in quanto proprietario dell’Unicusano può destinare gli utili che riesce a produrre negli investimenti che preferisce, anche se di fatto -leggendo le carte- ruotano tutti attorno all’università.
Le procedure adottate da Bandecchi sono giuste ed opportune? Non lo so, non sta a me dirlo, ma neanche ad un Ufficiale della Tributaria. Sicuramente sono lecite, cioè conformi alla legge. Punto e a capo.
“Ma Bandecchi non ha stile, fra Ferrari ed elicotteri, è uno che ama il lusso!”. E se invece delle Ferrari fosse stato proprietario di un panfilo di 50 metri “La Repubblica” lo avrebbe forse classificato fra i navigatori e gli esploratori, come un Nuovo Magellano? E se invece di affittare un elicottero avesse acquistato un aliante avrebbe potuto aspirare al riconoscimento di “imprenditore ecologico dell’anno”? “Ma Bandecchi è un sessista, uno che infastidisce le donne!”. Non saprei rispondere, non sono il biografo di Bandecchi, ma non mi ritengo un sessista se in qualche occasione ho fatto un complimento garbato alle gambe o al fondoschiena di una donna. Non ritengo sessisti i Greci che hanno fatto una statua ad Aphrodite Kallipygos, “La Venere dalle belle natiche”, con relativa copia romana che si ammira al Museo archeologico di Napoli.
“Ma Bandecchi è un personaggio aggressivo, un padre/padrone che minaccia spesso i suoi dipendenti, professori compresi”. Si, Bandecchi a volte ha comportamenti aggressivi, è portato a pensare che sia utile tenere sotto pressione i suoi dipendenti e i professori, a volte dice cose legittime, ma con toni che indispongono chi le riceve. Ma chi fa questi rilievi allo stesso tempo si serve di persone che dietro l’anonimato mandano pizzini alla stampa ostile e ai media che cercano di colpire –non dimentichiamolo- l’Unicusano, azienda da cui dipendono, con quelle collegate, migliaia di persone. Ma ammettiamo per un momento che Bandecchi sia veramente l’Uomo Nero: sessista, spendaccione, esibizionista e quant’altro. Tutto questo sarebbe sinonimo di evasione fiscale? “Che c’azzecca”, direbbe Di Pietro? Evasore fiscale è chi evade le tasse, non chi va in elicottero.
Sarebbe come sostenere che l’impianto accusatorio della Guardia di Finanza sia da rigettare qualora l’Ufficiale a capo del pool investigativo fosse un alcolizzato o uno malato di ludopatia. Oppure che la sentenza di un giudice possa ritenersi sbagliata se emessa da un noto sesso-dipendente! Non esiste nesso eziologico, relazione fra causa invocata e presunto effetto prodotto.
Ma non ci si è fermati al crucifige di Stefano Bandecchi. Nel ricordato articolo de Il Fatto Quotidiano, in cui si presentava un Bandecchi nella doppia veste di pilota di Formula Uno e di elicotterista, si passava poi all’attacco lancia in resta delle Università telematiche, fornendo cifre a nove zeri sui finanziamenti che ricevono dallo Stato ed insinuando l’idea che Unicusano riceva milioni su milioni di finanziamenti. In realtà l’Unicusano riceve dal Ministero centomila euro, cioè lo stato offre un cappuccino e un cornetto ad ognuno dei quasi 25.000 studenti del nostro Ateneo. Davvero un bell’esempio di giornalismo d’inchiesta, anche se il termine che mi viene in mente sarebbe “cialtronismo d’inchiesta”, espressione che però mi guardo bene dall’usare.
Ma qual’ è la vera “colpa” di Bandecchi? A vedere dai giornali che lo attaccano con più livore e dalla critica alle sue posizioni politiche, vere o presunte che siano, sembrerebbe essere quella di appoggiare la candidatura di Rocca alle prossime regionali e di collocarsi da sempre in un’area politica di centro-destra. Appare evidente, almeno in questo caso, che il giornalismo è la continuazione della politica con altri mezzi.
Prima di congedarmi dai 24 lettori che hanno avuto la cortesia di seguirmi sin qui, voglio ricordare un episodio che mi è accaduto tempo fa e che riguarda in qualche modo la Guardia di Finanza. Con alcuni miei laureandi durante il Covid ho fatto una breve indagine sulla prostituzione on line. Emergeva chiaramente che queste professioniste guadagnano ingenti somme (dai 200 euro l’ora ai 2/3000 euro per un weeck end), del tutto esentasse. Per un’evasione fiscale complessiva stimata oltre il miliardo di euro. Parlando con un alto ufficiale della GdF, ho fatto presente che le escorts come gran parte degli addetti di intere categorie (dagli artigiani alle guide turistiche, dagli idraulici agli istruttori di ginnastica, dai muratori ai dentisti e via dicendo), fanno parte dei non pochi milioni di Italiani che evadevano in tutto o in parte le tasse. Il maggiore della GdF mi rispose: “ Siamo pochi, ci dobbiamo concentrare sui grandi evasori”. Adesso ho capito perché tanti evasori sono rimasti impuniti: la GdF stava indagando su elicotteri e Ferrari di Bandecchi!
Enrico Ferri, professore di Filosofia del Diritto all’Unicusano.