Silvia Romano oggi. La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione dell’indagine sul sequestro di Silvia Romano, la cooperante di una onlus rimasta sotto sequestro per diciotto mesi in Kenya.  Al suo rientro in Italia era stato aperto un fascicolo in cui si ipotizzava il reato di sequestro di persone per finalità di terrorismo. Silvia fu sequestrata il 20 novembre del 2018 mentre si trovava nel villaggio di Chakama, a circa 80 km da Malindi, e liberata nel maggio del 2020. La ragazza era stata sequestrata da Al Shabab, gruppo terrorista somalo affiliato ad Al Qaeda. Il blitz dell’intelligence era stato condotto con la collaborazione dei servizi turchi e somali. Il suo ritorno in Italia era stato accompagnato dalle polemiche in quanto si sospettava che la donna fosse rimasta incinta di un combattente islamico. La ragazza aveva tra l’altro scelto di convertirsi all’Islam tanto da aver sceso le scalette dell’aereo con indosso una veste islamica verde. La Romano ha sempre smentito con fermezza di aver avuto una relazione e a proposito della sua conversione all’Islam aveva dichiarato: “In questi mesi mi è stato messo a disposizione un Corano e grazie ai miei carcerieri ho imparato anche un po’ di arabo. Loro mi hanno spiegato le loro ragioni e la loro cultura. Il mio processo di riconversione è stato lento in questi mesi. Non c’è stato alcun matrimonio né relazione”.

Silvia Romano oggi, chiesta l’archiviazione sul sequestro

La richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Roma è legata alla mancata collaborazione delle autorità del Kenya che non avrebbero risposto alle tre rogatorie dall’Italia. Per questo motivo non è stato possibile procedere formalmente all’accusa nei confronti delle tre persone sotto processo a Nairobi. La richiesta coinvolge anche l’Onlus Africa Milele con la quale Silvia Romano era partita dall’Italia per il Kenya. La ragazza aveva deciso di partire per l’Africa per aiutare gli altri: “Ho sentito il bisogno di andare e mettermi in gioco aiutando l’altro nel concreto. L’idea di continuare a studiare e rimanere qui non mi andava, volevo fare un’esperienza vera, per crescere e per aiutare gli altri”, aveva dichiarato. La ragazza era stata anche minacciata di morte dagli haters una volta tornata in Italia e per questo il prefetto di Milano aveva deciso di assegnarle la scorta. L’antiterrorismo aveva aperto poi un’indagine per minacce aggravate al fine di assicurare alla giustizia le persone che avevano espresso odio sui social nei confronti della Romano. La campagna d’odio era nata per la sua conversione all’Islam religione sistematicamente presa di mira dalle fazioni di ultra-destra. Silvia ha accettato anche di indossare il velo e su questo aspetto qualche tempo fa aveva rivelato: “Per me il velo è simbolo di libertà. Quando vado in giro sento gli occhi della gente addosso; non so se mi riconoscono o se mi guardano semplicemente per il velo; in metro o in autobus credo colpisca il fatto che sono italiana e vestita così. Ma non mi dà particolarmente fastidio. Sento la mia anima libera e protetta da Dio”. La ragazza aveva spiegato cosa avesse significato per lei abbracciare la fede islamica: “Sicuramente dopo aver accettato la fede islamica guardavo al mio destino con serenità nell’anima, certa che Dio mi amasse e avrebbe deciso il bene per me. Quando provavo paura per l’imminenza della morte o ansia per non avere notizie della mia famiglia e del mio futuro, trovavo consolazione nelle preghiere”.

Chi sono i rapitori di Silvia Romano

Tre dei sequestratori, Moses Luwali Chembe, Abdalla Gababa Wario e Ibraihm Adam Omar, sono stati arrestati e sono tutt’ora sotto processo. L’ultimo, Adam Omar, in libertà su cauzione e considerato l’uomo più pericoloso dei tre, ha fatto però perdere le sue tracce.