Gentilissimo Direttore,
Sono un medico italiano da quasi 40 anni negli Stati Uniti.
Lettera al Direttore sul caso Viviana Delego
Mi ha lasciato perplesso l’intervista del Professor Antonio Luperto: “Viviana morta perché operano solo i primari”, pubblicata ieri sulle pagine del Corriere della Sera.
Ricordiamo che Viviana Delego è deceduta cinque giorni dopo la nascita di due gemelli, e dopo un intervento di isterectomia (rimozione dell’ utero) resosi necessario per un sanguinamento continuo, probabilmente causato dall’ insorgenza di CID, Coagulazione intravascolare disseminata, fenomeno che altera la capacità del sangue di coagulare. L’isterectomia d’urgenza e’ in questi casi, uno dei procedimenti da adottare tempestivamente. Il fatto strano è che l’intervento non sia stato effettuato da un ginecologo, ma dal primario di chirurgia generale.
Il coinvolgimento del chirurgo generale è stato richiesto in quanto il ginecologo in servizio non sarebbe stato in grado di eseguire l’intervento e sia perché né primario né aiuto del dipartimento di ostetricia e ginecologia erano disponibili.
Non è mia intenzione entrare nei meriti clinici della vicenda, ma riflettere sulle realtà esposte dal professor Luperto.
La vicenda ha messo in risalto problematiche specifiche. Anche se tutto fosse andato bene, i problemi di formazione sarebbero comunque rimasti per poi riproporsi.
Nell’articolo del Corriere, i primari ospedalieri, descritti come gli unici in grado di operare, vengono ritenuti responsabili della mancata crescita professionale dei propri collaboratori ed allievi e, quindi, della loro scarsa competenza quando, in prima persona, si trovano a dover affrontare urgenze o complicanze.
Spero che il Professor Luperto si sbagli. Mi spiego meglio: l’attuale sistema incentrato sulla figura del primario, per certi versi legittima la mancata crescita professionale dei colleghi più giovani.
Quando però si afferma: “Ci sono ginecologi ospedalieri che hanno terminato le loro carriere senza mai avere eseguito un intervento di isterectomia (asportazione dell’utero) e persino un cesareo”, francamente resto senza parole.
Com’è possibile che un medico esca dalla scuola di specializzazione senza l’esperienza minima per effettuare un’ isterectomia o un cesareo?
Non esiste un numero di casi codificati che deve praticare uno specializzando per acquisire il titolo di specialista? Cosa si è fatto durante tutto il corso di specializzazione che dura 4/5 anni?. Si è sempre e solo guardato e ascoltato?
In Italia non esistono regolamentazioni e linee guida, che impongono alle scuole di specializzazione di fornire a tutti una capacità operativa? Negli USA la scuole di specializzazione sono costantemente monitorate e sono valutati i risultati ottenuti affinché possano conservare il proprio status accademico. O forse ci si aspetta di poter maturare la competenza operativa necessaria e fondamentale solo a posteriori in ospedale? Appare lecito affidarsi a medici inesperti, inserendoli da soli nei turni notturni o festivi di guardia specialistica senza alcuna supervisione o supporto? È un dato di fatto che proprio durante questi turni il medico è spesso chiamato a far fronte a emergenze e casi imprevisti e ben più complicati di quelli inseriti nella programmazione di routine.
Ha perfettamente ragione il professor Luperto quando dice:
“Il corso di specializzazione dovrebbe servire a formare il futuro professionista, rimandandone l’affinamento in fase di incarico professionale, sempre sotto guida autorevole”. Appunto: affinamento, che significa completare una preparazione teorico-pratica che già dovrebbe essere in gran parte acquisita.
Se le scuole di specializzazione e i loro docenti non sono in grado di formare specialisti competenti non dovrebbero essere legittimate a formare personale sanitario.
Una Facoltà di Medicina, come una Scuola di Specializzazione hanno il compito istituzionale di formare medici e specialisti competenti: è un obbligo non una possibilità fra le altre.
In ambito medico, conoscenze, farmaci e tecniche sono in continua evoluzione.
Nell’articolo si fa anche riferimento alla necessità di valutazioni periodiche del sistema, al “controllo finale effettivo, motivato, sul percorso di crescita degli operatori sanitari”. In altre parole la performance di ogni struttura, ospedale ed operatore va continuamente monitorizzata e valutata. Ma questa valutazione va
implementata anche e soprattutto a monte e mantenuta costantemente. Certamente questo non si può ottenere solo con le valutazioni di personale interno, seppur altamente qualificato, come primari o professori ordinari.
Bisogna avere un sistema esterno, indipendente, competente, con capacità decisionali a cui dover rispondere. Non è concepibile che un individuo, un’entità, un reparto giudichi se stesso. Come non è concepibile che in un ospedale, clinica o struttura sanitaria non vi sia h24 personale operativo qualificato. Una simile carenza avrebbe ripercussioni non solo sulla mancata crescita professionale dei sanitari, ma anche sulla salute del paziente.
Non basta l’individuazione e la denuncia di tali problematiche, occorre intervenire per rimuoverle.
Claudio Loffreda-Mancinelli, MD, MMM, FACMQ
Claudio Loffreda-Mancinelli, specializzato in Anestesia presso la University of Pittsburgh e Fellow in Anestesia Ostetrica presso il Magee Women Hospital di Pittsburgh. Il Dr. Loffreda-Mancinelli è stato membro della Commissione
Nazionale di Qualita’ (QMDA) della Societa’ Americana di Anestesia (ASA) e membro del Consiglio Direttivo e della Commissione del Programma Scientifico per l’American College of Medical Quality (ACMQ).