POLIZIOTTO CHE UCCISE IL FIGLIO – È arrivata la condanna a ventuno anni di reclusione per l’uomo che ha ucciso suo figlio con 14 colpi della pistola di ordinanza. Il ragazzo era violento e con problemi psichici e da anni lo picchiava e gli estorceva soldi. I giudici gli hanno riconosciuto le attenuanti e gli hanno inflitto una pena inferiore di 3 anni rispetto a quella chiesta in precedenza dal PM.
Gaetani Rampello, di 59 anni, ha confessato l’omicidio del figlio ventiquattrenne Vincenzo. La Corte di Assise di Agrigento, presieduta da Wilma Angela Mazzara ha condannato il poliziotto in servizio al reparto mobile della Questura di Catania.
I giudici hanno escluso le aggravanti della premeditazione, mentre hanno riconosciuto le attenuanti generiche e della provocazione, che hanno consentito di ottenere una pena molto più contenuta.
L’omicidio è avvenuto il primo febbraio 2022 in Piazza Progresso, a Raffadali, in provincia di Agrigento. I due si erano dati appuntamento in quanto il ragazzo avrebbe preteso 30 euro. Secondo il racconto dell’imputato, in quella circostanza, il 24enne avrebbe strattonato il padre costringendolo a consegnarli altri soldi. Rampello ha ammesso che dopo essere stato aggredito, ha estratto l’arma e gli ha sparato alle spalle consegnandosi poi ai Carabinieri a una fermata del bus.
Il brutto gesto nascondeva anni di crudeltà e soprusi da parte del giovane al padre, alimentati da inanità da parte del giovane al padre. Il ragazzo viveva inoltre, insieme a uno zio in un clima conflittuale fra gli stessi genitori che si erano separati con ripetuti contrasti.
Poliziotto che uccise il figlio, 21 anni per Gaetano Rampello
Precedentemente, all’udienza, il Pubblico Ministero Elenia Manno aveva richiesto una condanna a 24 anni, affermando: “Non è stato un omicidio d’impeto, ma ha premeditato il gesto andando, probabilmente, a prendere la pistola in caserma prima dell’appuntamento. Tuttavia ha dubito anni di violenze e sopraffazioni ed è stato l’unico che ha provocato ad aiutarlo contrariamente alla madre del ragazzo che è venuta qua a testimoniare sminuendo e negando i problemi psichiatrici”.
Prima del ritiro dei giudici in Camera di Consiglio, l’avvocato Daniela Posante, difensore dell’imputato, ha illustrato per quasi quattro ore la sua arringa, finalizzata a smontare la tesi del PM sulla premeditazione e invocare il riconoscimento delle attenuanti legati alla provocazione. Tra le sue frasi: “Non è andato in caserma a prendere l’arma, è andato semplicemente in bagno. Per quale motivo avrebbe dovuto portare con sé, da Catania, uno zaino con gli indumenti personali de avesse progettato l’omicidio? E davvero non ci sarebbe stato posto migliore della piazza principale del paese, davanti alle telecamere della banca, per progettare il delitto del figlio?”. Di tutto questo, ha poi aggiunto che in alcune telefonate, registrate volutamente dal Rampello (secondo il PM per “precostituissi un finto alibi”), quest’ultimo ha parlato con il fratello di una questione legata all’affitto di un magazzino, andando a dimostrare di aver preso alcuni appuntamenti per i giorni successivi e dichiarando il suo impegno nel trovare una soluzione per far curare il figlio.
Il legale ha dunque dichiarato: “Tutto va nella direzione opposta di un omicidio premeditato”. L’avvocato Posante ha insistito sui ripetuti atti di violenza e ricatti subite dal poliziotto per via del figlio. Parte si queste circostanze erano state denunciate, “senza che sia stata attivata alcune procedura per tutelarlo o per farlo curare adeguatamente”.
Adesso, l’imputato dovrà risarcire l’ex moglie, l’ex cognato e l’ex suocera, costituitisi parte civile con l’assistenza degli avvocati Alberto Agiato e Pietro Maragliano. Madre e zio del ragazzo sono però finiti sotto inchiesta per falsa testimonianza: la Corte ritiene che abbiano entrambi mentito o siano stati reticenti, per questo motivo ha trasmesso gli atti alla Procura.