Novità nel caso che vede coinvolta Alessia Pifferi, la madre 37enne accusata di aver ucciso la figlia Diana di un anno e mezzo abbandonandola in casa da sola per sei lunghi giorni lo scorso luglio. La donna ha infatti deciso di cambiare avvocato per affrontare il processo che la vede indagata per omicidio volontario aggravato.
L’indiscrezione, emersa nelle ultime ore, è stata confermata nella giornata odierna quando lei stessa è comparsa davanti al giudice per le indagini preliminari, Fabrizio Filice, per discutere dei risultati delle analisi condotte sul biberon della piccola Diana, su cui non sono state trovate tracce di sedativi o tranquillanti. Nessun riscontro nemmeno sulla bottiglietta d’acqua appoggiata vicino al corpo senza vita della neonata, cade così l’ipotesi che la madre avesse voluto drogarla per non farla piangere e attirare le attenzioni dei vicini.
Caso Diana Pifferi, la madre Alessia rischia la condanna all’ergastolo
Alessia Pifferi ha dunque dato mandato di revocare la propria tutela legale alla squadra che l’ha assistita nei primi sei mesi, preservando dal cambio della guardia solamente il consulente difensivo Luciano Garofano, figura di spessore in quanto ex generale dei Ris.
Sollevati dall’incarico i difensori Solange Marchignoli e Luca D’Auria. Al loro posto è subentrato Fausto Teti, il quale ha immediatamente chiesto un rinvio per acquisire le informazioni sul caso e preparare la strategia difensiva. Permesso accordato dal gip che ha rinviato l’udienza al prossimo 8 febbraio. Teti ha comunque potuto incontrare la sua cliente in un primo colloquio conoscitivo presso il carcere milanese di San Vittore, dove la donna si trova attualmente reclusa. L’ipotesi più percorribile secondo gli esperti ai fini della sua innocenza è basarsi sulla richiesta di infermità mentale.
Nel frattempo l’accusa, capitanata da Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro, ha comunicato di aver intenzione di inoltrare al gip la richiesta di processo con rito immediato, che obbligherà l’imputata a finire a giudizio davanti alla Corte d’Assise milanese, dove rischia la condanna all’ergastolo.