Crac della Veneto Banca e Consoli. La Corte d’Appello di Venezia ha confermato la condanna dell’ex amministratore delegato Vicenzo Consoli nel processo di secondo grado. I giudici hanno ridotto a tre anni di reclusione la pena detentiva, rispetto ai quattro inflitti dalla sentenza di primo grado, per il capo d’imputazione di di ostacolo agli organismi di vigilanza. Nel frattempo l’altro reato contestato di falso in prospetto è andato in prescrizione.
Crac Veneto Banca, il processo
La Corte d’Appello presieduta da Carlo Citterio ha inflitto all’ex amministratore dell’istituto bancario la pena di 3 anni di reclusione confermando la sollecitazione della pubblica accusa. La condanna di quattro anni arrivata dopo il giudizio di primo grado è quindi stata diminuita visto che nel frattempo è andato in prescrizione il reato di falso in prospetto sull’aumento di capitale.
Revocata, invece, la confisca disposta a conclusione del processo di primo grado, pari a 221 milioni di euro. Non ancora pubblicate le motivazioni della sentenza, bisognerà attendere un paio di mesi per conoscere quindi le ragioni della decisione. La sensazione è che la corte d’appello si sia uniformata agli orientamenti dell’Unione Europea secondo i quali la confisca non può essere una duplicazione di condanna al risarcimento dei danni. Analoga decisione era stata presa da un’altra sezione della Corte nel processo per il crac della Popolare di Vicenza.
Alle parti civili, i due organismi di vigilanza e circa 600 risparmiatori, i giudici veneziani hanno confermato il risarcimento di, rispettivamente, 150mila euro e 75mila euro e il 5% della perdita accusate fino ad un massimo di 20mila euro. Fuori dall’aula giudiziaria di Mestre erano presenti alcuni risparmiatori che hanno perso ingenti somme di denaro dal fallimento dell’istituto, molti di questi hanno protestato rimanendo in mutande.
Al termine dell’udienza ha parlato Massimo De Bortoli, il pm trevigiano chiamato in Procura generale per il processo di secondo grado. “Siamo soddisfatti, l’impianto accusatorio ha retto anche se il reato di falso in prospetto è andato in prescrizione, da cui si è determinata la riduzione di un anno. Sulla revoca della confisca devo dire che si tratta di un provvedimento che mi aspettavo. Noi in primo grado non l’avevamo chiesta solo perché non pensavamo che ci fossero i presupposti per disporla, ora bisognerà leggere le motivazioni di questa sentenza. Il dispositivo emesso dai giudici di primo grado francamente non ci aveva convinto”.
“Entro l’anno contiamo di arrivare a chiudere le indagini per quanto riguarda i reati fallimentari, mentre il processo per truffa e quello di Roma ai revisori dei conti, che potrebbe tornare per competenza territoriale a Treviso, mi pare siano partiti già azzoppati. Sul giudizio della Cassazione in merito a questo processo i tempi sono molto stretti ma io rimango fiducioso” ha concluso De Bortoli.
Crac Veneto Banca, la storia
La crisi delle Veneto Banca è stata generata dalla gravissima recessione che ha colpito il Paese. A questo si sono aggiunti anche i comportamenti scorretti degli amministratori e dei dirigenti. I primi forti segnali di scadimento della situazione tecnica vennero dopo gli accertamenti ispettivi condotti nel 2013 dalla Banca d’Italia, che fecero emergere il fenomeno delle azioni ‘finanziate’: l’istituto non aveva dedotto dal patrimonio di vigilanza il capitale raccolto a fronte di finanziamenti da essa stessa erogati ai sottoscrittori delle sue azioni.
Ci stava quindi la necessità di dedurre dal patrimonio di vigilanza la componente legata ai finanziamenti ai soci che ha comportato un consistente impatto patrimoniale negativo. Ne è conseguita una grave crisi di reputazione e di fiducia, accentuata anche dall’impossibilità per i soci di recuperare l’investimento che ha influito in modo determinante sul deterioramento della situazione aziendale.
La banca ha presentato un complesso piano quinquennale di ristrutturazione noto come progetto Tiepolo. Il piano ipotizzava un fabbisogno patrimoniale di 4,7 miliardi necessari, tra l’altro, per assorbire le perdite derivanti dalla pulizia del portafoglio crediti e far fronte ai costi di ristrutturazione. Non riuscendo a reperire i fondi, la Commissione Europea ha ritenuto che non sussistessero le condizioni per autorizzare la ricapitalizzazione precauzionale e quindi è stata posta in liquidazione.