Alcuni ricercatori canadesi hanno scoperto che il predatore più letale dell’Artico non è l’orso polare ma bensì una specie di stella marina.
La zona artica è quasi completamente costituita da ghiacciai non solo di acqua dolce ma anche di acqua salata. Infatti il mare in questa fascia rimane superficialmente congelato per periodi lunghi per tutto l’anno.
Durante i mesi invernali, l’Artico è uno dei luoghi più freddi e bui della Terra. Qui il sole sorge e tramonta una sola volta con l’alternanza di sei mesi di intera luce e la restante parte dell’anno coperta dalla totale oscurità.
Ed è proprio questa particolare condizione, unita alle estreme temperature, a generare caratteristiche eccezionali nella flora e nella fauna locale.
La maggior parte degli animali artici si sono adattati al clima rigido che può portare a temperature di -70°C e hanno sviluppato peculiarità simili per sopravvivere.
È il caso dello strato di grasso sottocutaneo, che ha lo scopo di isolare dal freddo oltre ad una fitta pelliccia che in alcuni esemplari può cambiare colore a seconda delle stagioni.
In inverno, il manto bianco degli animali serve a mimetizzarsi nell’ambiente innevato e celarsi dal pericolo dei predatori. Esemplari come l’orso polare, la volpe, il lupo, la lepre e il gufo riescono ad adattare il loro colore, tendendo a tonalità marroni, al cambiamento ambientale primaverile.
L’orso polare possiede tutte queste caratteristiche che gli consentono la sopravvivenza al clima estremo. Da sempre è ritenuto il predatore più letale nel paesaggio artico, capace di abbattere qualsiasi tipo di preda nel suo ambiente e non temere dell’attacco di altre tipologie di animali.
Tuttavia un recente studio scientifico ha sollevato un’importante questione. Rémi Amiraux dell’Università di Manitoba, in Canada, ritiene che chi identifica l’orso polare come il predatore alfa spesso focalizzi l’attenzione sulle sole specie pelagiche, vale a dire le categorie di animali che vivono sulla terraferma o in mare aperto. Normalmente quindi la classificazione sul più vorace predatore trascura gli esemplari bentonici, cioè quelli che vivono sul fondale marino.
Si può facilmente riassumere l’idea di catena alimentare in questo modo: gli erbivori mangiano le piante, i carnivori mangiano gli erbivori, fino ad arrivare ai predatori apicali, esemplari cioè che possono mangiare tutti e non sono minacciati da altre specie.
Stella marina predatore più letale dell’Artico: nel suo ecosistema non ha predatori
Un team di ricercatori canadesi ha analizzato la rete trofica, ossia tutti i meccanismi alimentari, degli esemplari delle acque intorno a Southampton Island includendo per la prima volta tutte le specie. I risultati di tale ricerca sono stati pubblicati nei giorni scorsi sulla rivista scientifica statunitense Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).
Se lo studio da un lato ha confermato che il maggiore predatore sulla terraferma è sempre il temibile orso polare, dall’altro gli scienziati hanno individuato una particolare specie di stelle marine che può essere considerata altrettanto letale. Si tratta di alcuni invertebrati appartenenti alla famiglia delle Pterasteridae.
Questi animali si cibano di bivalvi, cetrioli di mare e spugne. La loro collocazione nella rete trofica artica è similare a quella dell’orso polare e possono di fatto essere considerati i predatori apicali del loro ecosistema. Come l’orso inoltre, le stelle marine si nutrono non solo di prede vive ma anche di cadaveri. In poche parole, queste stelle marine sono predatrici di tutti gli altri animali presenti nella loro rete di alimentazione e non hanno predatori a loro volta.
Finora la ricerca si era concentrata solo sugli orsi trascurando le stelle marine che fatta eccezione per la misura dei loro pasti, hanno lo stesso ruolo nella rete trofica di cui appartengono. Ciò pertanto ha portato gli scienziati ad affermare che questi invertebrati marini hanno la stessa pericolosità e letalità di un orso polare.