Giornate calde per la FIA che si trova da un lato ad affrontare un duro confronto con i vertici della Formula 1, con le tensioni dovute all’intromissione del presidente Ben Sulayem nelle offerte ricevute da Liberty Media per la vendita del Circus, con le ingerenze del presidente che hanno portato ad una lettera dei legali della categoria più importante per i motori.

Ma sempre il 61enne di Dubai è finito sotto l’occhio del ciclone con accuse pesanti delle associazioni che si occupano dei diritti umani.

In particolare la Bahrain Institute for Rights and Democracy si è scagliata contro la decisione della FIA di vietare agli addetti ai lavori la presa di posizione su temi civili, politici e religiosi.

Mentre la FIA ha dichiarato di essersi allineata alla carta del CIO questa censura preventiva non è gradita da molti attivisti, che vedono la Formula 1 come un possibile mezzo per veicolare messaggi positivi.

FIA e libertà di parola, le parole del direttore del Bird

In Quando la FIA e la F1 scelgono di far organizzare i GP ad alcuni dei regimi più repressivi del mondo, come il Bahrein e l’Arabia Saudita, facilitano il meccanismo dello sportswashing. È davvero inquietante vedere come la FIA stia imitando le tattiche dei suoi dispotici partner commerciali, cercando di mettere a tacere le voci critiche. Laddove la Federazione e la F1 hanno fallito, sono stati piloti come Lewis Hamilton ad alzarsi in piedi e a denunciare gli abusi. Il suo sostegno espresso verso i prigionieri politici in Bahrein ha fatto luce su una terribile ingiustizia.

Ora questo tipo di prese di posizioni non sarebbero più possibili, e per la Bird è un’occasione sprecata nonché un grande veto alla possibilità di parlare di problemi comuni e amplificarli come fatto da molti piloti in tempi recenti, come Lewis Hamilton.