La Mafia segue regole precise impresse (a sangue, è il caso di dirlo) su uno statuto. Attraverso le intercettazioni e i pedinamenti, che hanno portato a 7 arresti nel palermitano, i carabinieri hanno anche “ascoltato” una riunione di famiglia tenutasi nelle campagne di Caltanissetta, durante la quale gli indagati hanno fatto più volte fatto riferimento a uno “statuto” delle regole di cosa nostra, un vero e proprio codice a quanto pare. “C’è lo statuto scritto … che hanno scritto i padri costituenti“ sarebbero le parole esatte pronunciate da uno dei boss non sapendo di essere intercettato. Una rivelazione che i magistrati ritengono importantissima e che conferma l’osservanza da parte dei capimafia di regole ferree, una sorta di “Costituzione” per l’appunto.

Quello statuto della Mafia che emerge dalle parole intercettate dei boss. Ecco di cosa si tratta

La scoperta avviene grazie alle cimici piazzate dagli investigatori durante una riunione della famiglia mafiosa di Palermo Rocca Mezzomonreale al completo, tenutasi per estrema prudenza in una casa nelle campagne della provincia di Caltanissetta. In quel contesto gli indagati fanno spesso riferimento al rispetto dei principi mafiosi arcaici, un vero e proprio “statuto”, dunque, scritto dai padrini. “Principi” che i capimafia continuano a considerare alla base dell’esistenza stessa di cosa nostra. Nell’ambito della conversazione registrata, definita dal gip “di estrema rarità nell’esperienza giudiziaria“, si è più volte richiamata l’esistenza di un “codice mafioso scritto”, custodito gelosamente da decenni e che regola, ancora oggi, la vita di Cosa Nostra palermitana. Dalle conversazioni ascoltate emergono inoltre critiche alla strategia stragista adottata dal boss Totò Riina: “Niente cose infami, ma perché pure tutte queste bombe tutti questi giudici, tutti questi … ma che cosa sono?”, sostiene uno dei partecipanti alla riunione dopo aver condannato anche la scelta di assassinare i familiari del pentito Tommaso Buscetta ancor prima che questi cominciasse a collaborare con la giustizia. Una “scopettata (un colpo di fucile) nelle corna gli dovrebbero dare! ”, sostiene uno dei padrini intercettati riferendosi Riina e i suoi che “pensavano solo a riempire il portafoglio“. “Sì, e non si interessava a niente. Non è che loro amavano la cosa (dove per cosa verosimilmente si intende l’organizzazione mafiosa) Perché uno che la ama, fa le cose per non distruggerla, per tenerla“, afferma il boss. “Tutte cose sono finite”, conclude uno degli indagati, ricordando come in passato “c’erano buoni rapporti con gli organi dello Stato. Non si toccavano, non si toccavano. Anzi: li allisciavano“, conclude. Gli investigatori dell’Arma, coordinati dai pm della Dda guidati dal procuratore Maurizio De Lucia, hanno anche scoperto l’esistenza di uomini d’onore “riservati“, rimasti ad oggi del tutto estranei alle cronache giudiziarie, “i quali godrebbero di una speciale tutela e verrebbero chiamati in causa soltanto in momenti di particolare criticità”, fanno sapere le autorità. L’operazione ha comunque permesso di smantellare la famiglia mafiosa di Rocca Mezzomonreale, “costola” del mandamento palermitano di Pagliarelli, e ha confermato, ancora una volta, l’importanza delle storiche figure dell’associazione criminale, già in passato protagoniste di episodi molto rilevanti per Cosa Nostra, come la gestione del viaggio a Marsiglia del boss Bernardo Provenzano per sottoporsi a cure mediche o la tenuta dei contatti con l’ex latitante trapanese Matteo Messina Denaro.