Stava allattando il figlio nato da pochi giorni, quando si sarebbe addormentata, finendo per schiacciare il bambino con il suo corpo. È la tragedia che, nelle prime ore dell’8 gennaio scorso, avrebbe toccato, secondo quanto riportato dall’edizione romana del Corriere, una neomamma di 30 anni che, dopo aver partorito, avrebbe perso il figlio di appena tre giorni tra le sue braccia. Sul caso starebbe ora indagando la Procura di Roma, con l’ipotesi di omicidio colposo. Nel mirino degli inquirenti, l’Ospedale, che avrebbe dovuto assicurarsi che il piccolo fosse allattato e poi riportato in culla, come previsto dal protocollo per sventare i rischi del co-sleeping.
Neonato morto soffocato Roma: la tragedia all’ospedale Pertini
Aveva dato alla luce un maschietto, la donna di 30 anni che, nella notte tra il 7 e l’8 gennaio scorsi si sarebbe addomentata durante l’allattamento, finendo per schiacciare il figlio di appena tre giorni con il suo corpo e provocandone la morte per soffocamento. A parlare della tragedia è l’edizione romana del Corriere. Secondo quanto riportato, sarebbe stata un’infermiera di turno nel reparto di ginecologia dell’ospedale Pertini ad accorgersi che la mamma stava dormendo e che il bimbo, soffocato dal peso del suo corpo, era ormai privo di vita. La stessa che, poi, avrebbe spiegato alla neomamma quanto accaduto.
L’ipotesi di reato dell’inchiesta aperta dalla Procura di Roma sul caso sarebbe quella di omicidio colposo contro ignoti. La mamma, in stato di choc, sarebbe stata qualificata come parte offesa. Il piccolo, infatti, non avrebbe dovuto essere tra le sue braccia: qualcuno avrebbe dovuto controllare che il neonato venisse allattato e poi riportato in culla. A prevederlo è il protocollo dell’ospedale, perché il co-sleeping – che consiste nel dormire al fianco dei propri figli – è proprio una delle cause di morte principali dei neonati minori di 5 mesi. Un gesto d’amore che può tramutarsi in tragedia, visto che l’apparato respiratorio dei bimbi appena nati non è ancora abbastanza sviluppato e basta una leggera pressione per impedirgli di respirare.
È ciò che è accaduto anche al Pertini. Secondo le prime ricostruzioni, sembra che nel tardo pomeriggio la neomamma avesse chiesto di poter tenere con sé il bimbo per allattarlo e coccolarlo. Attimi di felicità, quelli vissuti insieme, che si sarebbero trasformati in un incubo quando la donna, stanca, sarebbe crollata, chiudendo gli occhi, senza accorgersi che sotto di lei c’era il suo piccolo. A mezzanotte passata, un’infermiera, facendo il giro delle stanze, si sarebbe accorta del piccolo inerme vicino alla mamma e avrebbe cercato di rianimarlo, invano. Poi, un grido disperato avrebbe scosso il reparto. Nei prossimi giorni, saranno i risultati dell’esame autoptico disposto sulla minuscola salma e condotto dal professor Luigi Cipolloni, a chiarire le domande rimaste aperte sul caso.
Che cos’è il co-sleeping e perché è pericoloso?
Con il termine co-sleeping la comunità scientifica definisce il dormire insieme al proprio bambino, generalmente nel lettone. Si tratta di una consuetudine molto diffusa, visto che i piccoli, da sempre, hanno bisogno del contatto materno per sentirsi protetti ed è anche una questione di praticità, che consente alle neomamme di organizzare al meglio il proprio riposo notturno, soprattutto nel corso dell’allattamento; ma ad essa sono anche associati dei rischi. Il co-sleeping può infatti essere una concausa della Sids, la temuta morte in culla. Dall’eventuale obesità dei genitori alla presenza di cuscini o coperte pesanti nel letto, gli elementi di pericolo sono molti: ecco perché, ormai da anni, una delle soluzioni più utilizzate è quella di far dormire i neonati in apposite culle che possono essere “agganciate” al letto dei genitori, così da consentire un contatto fisico, ma in tutta sicurezza.