All’indomani dell’arresto del capomafia Matteo Messina Denaro c’è un’altra questione collaterale che emerge nelle cronache: il tema della fatturato della Mafia.
Conosciuta con lo pseudonimo di “Mafia Spa”, il giro d’affari annuale ipotizzato dalla Cgia di Mestre è pari a 40 miliardi di euro, vale a dire il 2% abbondante del Prodotto Interno Lordo (Pil). Si tratta del secondo mercato nazionale alle spalle del comparto energetico. Valore che, secondo le norme europee approvate nel 2014 dalla Commissione, va conteggiato nel paniere insieme a tutte le altre attività illecite come la prostituzione, il traffico di droga e il contrabbando di sigarette. Seguendo questo ragionamento, si devono aggiungere i 157 miliardi illeciti fatturati nel 2022: 79,7 sono “nascosti” dalla sottodichiarazione, 62.4 dal lavoro irregolare e 15.2 mld dalla voce “Altro”.
Fatturato Mafia, la divisione per province
Una buona fetta di economia sommersa viene dunque fatturata dalla mafia, come attestato dalla Cgia. L’associazione degli artigiani definisce “imbarazzante e inaccettabile”, nella sua nota di commento, che queste attività siano ammesse nel conteggio conclusivo.
L’ultimo valore disponibile, che ovviamente va preso con le pinze, riguarda il 2020: 17,4 miliardi di euro all’anno che hanno gonfiato il Pil nazionale. La concentrazione del tessuto economico di stampo mafioso è polarizzante: ai territori di origine del Mezzogiorno, e in particolare della Sicilia, si aggiungono le aree più industrializzate del Centro Nord, con Lombardia e Piemonte in primis. Tuttavia, le ramificazioni di Cosa Nostra sono talmente ampie che l’intero Stivale presenta criticità in tal senso, seppur a basso rischio. Dallo studio emerge che l’area del Triveneto sia quella meno coinvolta insieme alla Valle d’Aosta e – quindi – all’Umbria.
Nel Mezzogiorno le province all’interno delle quali non sono state registrate presenze riconducibili alla mafia sono quelle di Matera, Chieti, Campobasso e una fetta consistente della Sardegna (Oristano, Olbia-Tempio e Sassari).