Un pezzo autobiografico quello che, sull’edizione odierna de La Stampa, è firmato da Eugenia Roccella. La Ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità si racconta sulla carta stampata mettendosi a nudo ed offrendo un ritratto intimo della sua vita: dal rapporto con la madre ed il padre, passando per la sua esperienza nel Partito Radicale, fino alla posizione sull’aborto. Era piccola quando frequentava via di Torre Argentina dove si trovava la sede del Pr: un’edificio sudicio e malandato – confessa – dove l’inospitalità del bagno metteva la piccola Roccella nelle condizioni di non entrarvi mai nemmeno al bisogno (“temevo di prendere l’epatite solo toccando la maniglia”). Lì, ogni lunedì pomeriggio, si riuniva il Movimento di Liberazione della Donna. Un movimento femminista del quale faceva parte anche Wanda Raheli: sua madre.

Il rapporto con la madre

Nata a Bologna nel 1926 Wanda Raheli è stata soprattutto un’artista affermatasi per la sua pittura femminista. Ma anche, e soprattutto nel racconto di sua figlia Eugenia Roccella, una donna indomita ed inappagabile. La quale, forse pregna di insicurezze, cercava garanzie in chi gli stava intorno. Perfino nella piccola Eugenia. Così la Ministra su La Stampa:

Il suo legame affettivo con me, fortissimo, era una richiesta, a volte esasperata, di appagamento di bisogni suoi. Ci amavamo molto, ma era lei
a esigere da me sostegno e compagnia, e non il contrario.Tornavo a casa più o meno alla stessa ora di mia madre, che andava all’Accademia. Preparavamo insieme il pranzo, poi lei andava a riposarsi, mentre io lavavo i piatti e sistemavo la cucina. A me non pesava. Le faccende di casa non mi sono mai dispiaciute, e Wanda mi sembrava una porcellana delicata e preziosa, inadatta alle piccole fatiche domestiche.

Il passaggio emblematico di questo tratteggio materno è, sicuramente, quello relativo al modo in cui Roccella descrive il modo di vivere la maternità da parte Raheli. Potrebbe essere stato questo l’antefatto che, poi, ha determinato la posizione sull’aborto della Ministra. Roccella dice, senza troppi giri di parole, che sua madre aveva orrore della maternità.

Le sue amiche avevano tutte due o tre figli. In quegli anni le donne potevano essere buone o cattive madri, ma comunque madri. Lei si sottraeva fuggendo in ogni modo e a qualunque costo i compiti materni, finché anche il suo corpo arrivò a rifiutarsi di accogliere l’embrione che provava a vivere dentro di lei. Ebbe alcuni aborti spontanei, e nessun’altra gravidanza. L’ipotesi di essere responsabile di un’altra persona, di esserlo per tutta la vita, costituiva, per una donna che rifiutava la responsabilità di se stessa, una prospettiva spaventosa.

Il rapporto con il padre e la posizione sull’aborto

Franco Roccella è stato tra i fondatori del Partito Radicale e Deputato della Repubbica italiana. Caratterialmente diverso da Raheli, considerava l’aborto un omicidio. Eugenia Roccella – scrive – ha vissuto per un pezzo della sua vita questa doppia posizione: da una parte considerava l’aborto un’ingiustizia, dall’altra una volontà della donna. Sulle colonne della La Stampa arriva a definire l’aborto come una legittima difesa. Una drammatica eccezione alla volontà all’intangibilità della vita. Queste le parole con cui spiega l’ambivalenza dentro di sé:

Ero a metà tra mamma e papà: ammettevo che si sopprime una vita, ma lo consideravo una drammatica eccezione

Ad emergere, nella sua coscienza politica, è stata sicuramente l’impostazione paterna come si evince, ad esempio, dalle sue posizioni critiche sulla pillola abortiva. Questa posizione sull’aborto, nonché il rapporto con la sua famiglia, si trovano al centro del libro che Eugenia Roccella ha appena pubblicato dal titolo ‘Una famiaglia radicale’.