A sei mesi esatti dalla lettura della sentenza in appello sono state pubblicate le motivazioni dei giudici che hanno condannato Silvana Saguto, ex magistrato del Tribunale di Palermo, raccolte in oltre mille pagine di documentazione. 8 anni e 10 mesi, questa la pena stabilita dalla Corte d’Appello di Caltanissetta, che contesta i reati di corruzione, concussione e abuso d’ufficio.

Saguto, ex capo della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, avrebbe maneggiato in maniera clientelare i beni sequestrati alla mafia siciliana nel corso degli anni, in particolare nel processo di nomina degli amministratori giudiziari. Ricostruendo l’albero genealogico, infatti, è stato possibile accertare i rapporti estremamente fedeli dei singoli collaboratori con l’ex giudice.

Motivazioni sentenza Silvana Saguto, i nomi del “cerchio magico”

Depositate questa mattina presso la cancelleria della Corte d’appello di Caltanissetta le motivazioni della sentenza in appello del processo a carico dell’ex giudice Silvana Saguto.

Nella perfetta macchina del “do ut des”, l’imputata avrebbe ricevuto in cambio dai funzionari nominati favori di qualsiasi genere, per lo più di carattere materiale e regali. La sentenza di secondo grado, presieduta dal giudice Marco Sabella, aveva inasprito la condanna nei confronti della Saguto di quattro mesi e mezzo, confermando in toto le valutazioni preliminari in cui era stata esclusa l’associazione a delinquere.

Complessivamente sarebbero stati ricondotti alla sua figura importi pari a 20mila acquisiti sotto banco dal suo braccio destro, l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara: quest’ultimo è stato condannato sempre in secondo grado a sette anni e sette mesi di carcere. Scorrendo il “cerchio magico” attorno alla Saguto troviamo il marito Lorenzo Caramma (condannato a 6 anni e due mesi), il figlio Emanuele Caramma (4 mesi), l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo (3 anni) e il professore della Kore di Enna Carmelo Provenzano (6 anni e 10 mesi).

La donna, dopo la condanna in primo grado avvenuta nel novembre 2020, aveva contestato duramente la condanna parlando di “processo mediatico fomentato dalla Procura di Caltanissetta, le cui prove sono come granito di scarsissima qualità”, riferendosi al fatto che sui 74 capi d’imputazione originari ne fossero stati confermati 16.