Sono di scherno, le prime parole di Matteo Messina Denaro in carcere. Da lunedì il boss mafioso arrestato a Palermo dai carabinieri del Ros si trova in regime di 41 bis in una delle celle singole, grande poco più di dieci metri quadrati, del carcere di massima sicurezza dell’Aquila, Le Costarelle. “Fino a stanotte ero incensurato, poi non so cosa è successo”, avrebbe risposto a chi gli chiedeva i suoi precedenti per la compilazione della scheda anagrafica. A differenza di altri, come Totò Riina e Bernando Provenzano, che avevano già trascorso da giovani delle notti in cella prima della lunga reclusione, per Messina Denaro si tratta infatti della prima volta da detenuto, ma le condanne all’ergastolo nei suoi confronti sono già definitive.

Prime parole Matteo Messina Denaro in carcere: “Finora incensurato”

Appare tranquillo, Matteo Messina Denaro, dopo la cattura. “Ditemi quello che devo fare e lo farò”, dice agli agenti che lo sorvegliano, secondo quanto riportato da Repubblica. Seduto sulla brandina della sua cella, con la testa tra le mani, riflette, forse ripensa alle regole che gli sono state impartite al suo ingresso, non accende la tv, né richiede libri o giornali. Al carcere dell’Aquila è arrivato con camicia e pantaloni di marche di lusso, una cintura di pitone e stivaletti di pregio, giaccone e berretto in pelle. Nel corso del trasferimento, all’aeroporto di Boccadifalco, prima di raggiungere la struttura carceraria, ha chiesto un pezzo di carta e una penna e ha scritto: “I carabinieri del Ros e del Gis mi hanno trattato con grande rispetto e umanità”.

Dalla sua cella di massima reclusione, che lo accoglierà a tempo indeterminato, ha già fatto sapere che a difenderlo ci sarà la nipote, l’avvocato Lorenza Guttadauro, figlia della sorella del boss, Rosalia, e di Filippo Guttadauro, fratello dell’ex capomafia di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro. Il suo primo impegno legale è in programma per domani, quando si terrà, nell’aula bunker di Caltanissetta, un’udienza in cui il boss è imputato per le stragi mafiose del ’92. La linea che adotterà è chiara: Messina Denaro non è disposto a collaborare con lo Stato e non ha intenzione di pentirsi. “Fino a oggi ero incensurato, poi non so cosa è successo”, avrebbe risposto a chi gli chiedeva dei suoi precedenti penali. Mentre, alla domanda se la sua famiglia ne avesse, ha risposto: “A quale famiglia si riferisce?”, come se volesse alludere a quella mafiosa.

“Esiste una giustizia divina e una giustizia terrena”, gli avrebbero poi detto gli agenti, secondo Repubblica. Lui avrebbe risposto: “Ci rifletterò”. Nei prossimi giorni, all’interno della struttura carceraria, in una cella adibita ad infermeria, inizierà la chemioterapia.

Proseguono intanto le indagini degli inquirenti

Mentre Messina Denaro trascorre i suoi primi giorni di detenzione, proseguono intanto le indagini degli inquirenti che, nella giornata di ieri, hanno permesso di rintracciare il covo, un appartamentino nel centro di Campobello di Mazara – acquistato dal vero Andrea Bonafede, il suo prestanome, con i soldi del boss -, dove l’uomo si sarebbe nascosto per almeno sei mesi. Qui, tra abiti e oggetti griffati, ricevute di ristoranti e preservativi, poche armi e nessuna traccia dell’archivio di Totò Riina di cui parlano da sempre i pentiti. Del resto, l’ipotesi è che Messina Denaro abbia viaggiato molto prima di stabilirsi nel Trapanese; si cercano quindi altri possibili covi.

È fissata per domani mattina, intanto, probabilmente nel carcere Pagliarelli di Palermo, l’udienza di convalida dell’arresto di Giovanni Luppino, l’uomo arrestato lunedì mattina insieme al boss. È stato proprio Luppino, commerciante di olive e agricoltore di 59 anni, ad accompagnare Messina Denaro in auto alla clinica La Maddalena di Palermo. Volto nuovo per gli inquirenti, incensurato, è ora accusato di favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravata dal metodo mafioso. Sotto indagine anche il medico di base Alfonso Tumbarello, ora in pensione: per gli inquirenti non poteva non sapere che le prescrizioni di esami per malati di cancro che consegnava a Bonafede – indagato a sua volta per associazione mafiosa e favoreggiamento aggravato – non fossero per lui.