Giudice Rosario Livatino reliquia, il cammino nella capitale è cominciato. Prima alla Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, poi nella serata alla Camera dei Deputati e poi al Senato, dove tornerà il 18 dopo essere stato all’Università Niccolò Cusano, dove, dopo la celebrazione della messa, chi vorrà, potrà andare nella cappella dell’Università e vedere la reliquia, la camicia insanguinata che il giudice il giorno che è stato ammazzato dalla mafia. E, tutto questo, succede nel giorno in cui è stato arrestato Matteo Messina Demaro.
Ma chi era e perché il giudice fu ammazzato e poi fatto beato dalla Chiesa. Il primo magistrato nella storia a diventarlo come scrive “Logos – Le ragioni della verità”, di cui proponiamo il pezzo integrale proprio per esaltare la straordinaria figura del giudice Rosario Livatino.
“È il 21 settembre 1990, scrive Logo le ragioni della verità, Il giudice Livatino 37 anni, si sta recando in Tribunale con la sua Ford Fiesta amaranto quando viene speronato e colpito da proiettili di pistola alla spalla. Ha la forza di superare il guard-rail ma nella scarpata adiacente la strada viene rincorso da quatto giovani che gli sparano in pieno volto: “Picciotti, che cosa vi ho fatto?”, le sue ultime parole. Artefice dell’omicidio la “Stidda” agrigentina.
Livatino era “giudice rigoroso, inavvicinabile, poco incline ai compromessi nello svolgimento del lavoro, in cui si attardava sino al tardo pomeriggio. Attento alle minuzie perché da esse si potevano trarre indizi significativi”, testimonia una collega più giovane.
“Non era tanto un giudice “ragazzino” – come qualcuno l’ha definito associando alla sua giovane età le parole dell’allora Presidente della Repubblica Cossiga che, nel 1991, all’inaugurazione del tribunale di Gela, procura di frontiera caratterizzata da una forte presenza mafiosa diceva: “Mi auguro che qui non vengano inviati giudici ragazzini” – ma un giudice che, con una preparazione solida alle spalle, una mente acuta e la giusta fiducia nelle sue intuizioni, in dieci anni di magistratura aveva imparato bene il suo mestiere.”
Giudice Rosario Livatino reliquia. Il percorso alla beatificazione
“Speiega don Giuseppe Livatino, postulatore della causa di beatificazione: “Giudicava per poter riportare in qualche modo l’ordine voluto da Dio. C’era questa grande capacità di guardare all’imputato e ai fatti con gli occhi di Dio. Rendere giustizia è per lui non condannare le persone ma riparare un danno che si è creato attraverso la commissione di un reato e poi dare a quella persona la possibilità, una volta pagato il debito con la società, di rivivere come parte sana in un tessuto sano.
Dal processo di beatificazione non è emerso quanto Livatino fosse retto, giusto e attaccato alla fede, ma quanto queste fossero le ragioni del suo martirio: un modo di interloquire con la criminalità organizzata”, ricorda sempre Logos le ragioni della verità. L’omicidio di Livatino, nel dicembre del 2020, viene dichiarato ‘in odium fidei’.
“S.T.D.” è la scritta misteriosa ritrovata sulle agendine che lo accompagnavano ogni giorno come un diario dell’anima. “Sub tutela Dei”, ovvero “sotto la protezione, sotto lo sguardo di Dio” era il significato di questa sigla svelato dalla minuta della tesi di laurea: un classico dei profughi, di chi si sente perseguitato, come forse da sempre Livatino si sentiva, già prima che da magistrato avesse detto: “I processi più difficili dateli a me”.
“Non mi sposo per non lasciare nel dolore una donna che rimarrà vedova e figli che diventeranno orfani”, aveva detto più volte il giudice Rosario Livatino. E viveva in famiglia, a Caltanissetta col padre Vincenzo e la madre Rosalia Corbo.
Quando Papa Giovanni Paolo incontrò i genitori del giudice
Era il 9 maggio 1993, un anno dopo circa l’assassinio del magistrato, quando S. Giovanni Paolo II in visita in Sicilia incontra i genitori di Livatino: un incontro fatto più di sguardi che di parole, al termine del quale il Papa aveva mormorato ai più stretti collaboratori: “Ecco cos’è la mafia. Un conto è studiarla, un conto è vedere cosa ha provocato”. E nello stesso giorno, l’anatema dei mafiosi nella Valle dei Templi con il veemente invito alla conversione.
Ecco il 9 maggio che è stato scelto come data di beatificazione di questo magistrato, primo nella storia della Chiesa a salire all’onore degli altari, che sarà festeggiato il 29 ottobre, giorno in cui nel 1988 – a 36 anni – ricevette il sacramento della Confermazione, compimento di un percorso di fede che abbracciò da adulto con convinzione.
Qualcuno si è chiesto: perché spezzata così presto una vita così feconda di bene? Dopo tre anni il fascino e la testimonianza di Livatino era presente in tutto il mondo: non così, forse, sarebbe stato se fosse vissuto molto di più.
“Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”: questo rimane probabilmente il messaggio più importante di Livatino per noi cristiani oggi.