Il piccolo Di Matteo, un nome che risuona negli anni, una triste vicenda, un omicidio brutale. Uno dei tanti, questo, tra quelli ordinati dal boss mafioso oggi condannato all’ergastolo: Matteo Messina Denaro. Tra i nomi collegati al brutale omicidio, quello di Giovanni Brusca e di altri esponenti del giro criminale. Giuseppe Di Matteo aveva 12 anni quando fu strangolato e sciolto nell’acido ed è successo dopo ben due anni di prigionia.
Cogliamo questa occasione per tornare indietro nel tempo. Ripercorriamo la sua storia e quella dell’atrocità che ha segnato l’anno 1996: era l’11 gennaio.
Il piccolo Di Matteo: il rapimento
Il piccolo Di Matteo è stato ucciso a 12 anni e sciolto in un fusto di acido nitrico. Il suo corpo scomparso per sempre. Il tentativo dei boss mafiosi era quello di fermare e intimidire suo padre: il pentito Santino Di Matteo, ex-mafioso diventato collaboratore di giustizia. Il bambino è morto dopo 799 giorni di prigionia.
Giuseppe, nato 19 gennaio 1981 è stato rapito mentre era in un maneggio in provincia di Palermo, a Piana degli Albanesi. I suoi carcerieri lo hanno attirato con l’inganno, travestiti da poliziotti, con la scusa di portarlo da suo padre, che proprio in quel periodo era lontano dalla Sicilia, sotto protezione.
Ad architettare il rapimento: Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano e Giovanni Brusca.
Si sono radunati a Misilmeri, in un fabbrica di calce, il 14 novembre 1993.
Troppi uomini appartenenti al commando della strage di Capaci pronti a collaborare con la giustizia. Troppi pentiti, troppi pericoli, bisognava intervenire, secondo Bagarella, Graviano e Messina Denaro. Rimproveravano Giovanni Brusca per non aver preso misure forti, dei provvedimenti che facessero da monito.
E’ stato allora Giuseppe Graviano a proporre di uccidere il 12enne. Di comune accordo si arriva ad una soluzione che prevede l’uccisione dopo un rapimento.
Il piccolo Di Matteo sequestrato e le intimidazioni
All’inizio la famiglia cerca Giuseppe negli ospedali, invano. Scatta la paura il 1 dicembre quando arriva un biglietto minaccioso che recita
“Tappaci la bocca”.
Insieme al messaggio, due foto del bambino con in mano il quotidiano del 29 novembre del 1993.
Tutto si collega allora alla collaborazione di Santino Di Matteo che sta rivelando verità sempre più numerose e profonde sulla strage di Capaci e sulla morte dell’esattore Ignazio Salvo.
E’ il 14 dicembre 1993, quando Francesca Castellese, madre di Giuseppe, è pronta a denunciare la scomparsa di suo figlio.
Proprio quella sera, un altro messaggio raccapricciante arriva al nonno del bambino, suo omonimo:
“Il bambino ce l’abbiamo noi, non andare ai carabinieri se tieni alla pelle di tuo nipote”; un’altra foto del ragazzo viene allora mostrata. “Devi andare da tuo figlio e farci sapere che, se vuole salvare il bambino, deve ritirare le accuse fatte a quei personaggi, deve finire di fare tragedie”
Ucciso e sciolto nell’acido: Messina Denaro lo tiene segregato
Per tutto il tempo e l’anno successivo, il bambino è stato fatto prigioniero in edifici disabitati. Il primo ad offrirsi a tenerlo segregato nel trapanese è Matteo Messina Denaro che coinvolge altri rami della mafia agrigentina con i quali ha legami saldi.
Giuseppe ha passato i suoi ultimi 180 giorni di vita, fino all’uccisione, in un vano sotto il pavimento di un casolare-bunker, nella campagna di San Giuseppe Jato nel 1995.
Suo padre, dopo alcuni tentennamenti dovuti al ricatto, decide lo stesso di proseguire, collaborando con la giustizia.
Giovanni Brusca apprende così al notiziario di essere stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Ignazio Salvo. A quel punto, su richiesta di Messina Denaro, Graviano e Bagarella, ordina a Enzo Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo l’uccisione del piccolo Di Matteo che viene strangolato e sciolto nell’acido.
A raccontare i dettagli scabrosi del brutale delitto al processo è stato Vincenzo Chiodo.
Per l’atroce omicidio sono stati condannati all’ergastolo Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Matteo Messina Denaro, ancora latitante, Giuseppe Graviano, Salvatore Benigno, Francesco Giuliano e Luigi Giacalone.