Omicidio Martina Scialdone Roma. Proseguono senza sosta le indagini delle forze dell’ordine sulla morte della 34enne romana, avvocatessa di professione, che la sera del venerdì scorso è stata uccisa con dei colpi di pistola dall’ex compagno, il 61enne Costantino Bonaiuti, al termine di una lite scoppiata all’interno di un ristorante in zona Furio Camillo, dove i due si erano recati per un incontro chiarificatore voluto dall’uomo, che non aveva accettato la fine della loro relazione. Secondo le prime informazioni, sembra che egli fosse malato di tumore e che per questo avesse ottenuto la concessione, da parte della sua azienda, di lavorare in smart working. Un’informazione che ora è stata smentita dal diretto interessato – detenuto a Regina Coeli -, che negli anni ha però parlato della sua malattia ad amici e parenti. Non si tratterebbe dell’unico punto oscuro dell’omicidio.

Omicidio Martina Scialdone Roma: i punti oscuri del caso

La malattia di Costantino Bonaiuti

Il primo elemento da chiarire, attraverso la verifica di eventuali certificati medici, sarà quello della malattia di Bonaiuti. Secondo le prime informazioni sul caso, emerse nella giornata di ieri, sembrava che l’uomo, ingegnere per l’Enav, l’Ente nazionale per l’assistenza di volo, e membro del consiglio direttivo del sindacato AssiVolo, fosse affetto da un tumore maligno ai polmoni e che, per questo motivo, lavorasse da casa ormai da due anni. Un’informazione che adesso è stata smentita dall’avvocato dell’uomo, Domenico Pirozzi, che ha dichiarato: “Me lo ha escluso nella maniera più categorica. Mi ha detto di essere depresso e amareggiato per quello che ha fatto. Ma ha negato di avere un tumore maligno”. “Ci raccontava della malattia oncologica e delle lunghe sedute di chemioterapia”, dicono, dal canto loro, i colleghi, secondo cui “Costi” – questo era il suo soprannome – sosteneva di essere affetto da una patologia in costante aggravamento e persino in grado di minacciare le sue capacità cognitive. Ma sembra che Bonaiuti avesse parlato del cancro anche con i suoi parenti. A confermarlo, la sorella Meghy, che ha raccontato che l’uomo “ha nascosto a tutti di essere malato di cancro per mesi. Fino a quando la situazione non è precipitata e non è stato possibile nasconderlo. Non ci sono giustificazioni per quello che ha fatto. Ma anche noi negli ultimi mesi lo abbiamo visto cambiare. Era meno presente anche con i nipoti che lui considerava dei figli”.

Il ristorante e la chiamata al 112

Altro punto da chiarire resta quello del ruolo avuto nella vicenda dal ristorante sito in viale Amelio, Bardo, dove i due si erano recati a cena. Secondo quanto ricostruito finora, sembra che Bonaiuti e Scialdone, nel corso della serata, abbiano iniziato a litigare, proprio all’interno del locale. La loro discussione, sempre più animata, avrebbe attirato l’attenzione dei gestori del ristorante e dei clienti; l’uomo avrebbe quindi deciso di allontanarsi, mentre Martina si sarebbe rifugiata in bagno, prima di uscire a sua volta. Secondo alcuni, alla donna sarebbe stato chiesto di abbandonare il locale. Ipotesi poi smentita dal ristorante stesso. “Martina non è stata cacciata dal bagno del locale – hanno raccontato i camerieri -. È uscita da sola e tutti eravamo convinti che l’uomo si fosse allontanato. Abbiamo tentato di proteggerla”. Invece la donna aveva deciso di uscire e, nel marciapiede antistante il locale, era stata raggiunta da Bonaiuti, che l’aveva costretta ad allontanarsi di qualche metro, prima di spararle. La donna, ferita, avrebbe raggiunto di nuovo il ristorante, dove sarebbe morta tra le braccia del fratello, giunto sul posto dopo aver ricevuto un messaggio dalla 34enne, che forse aveva avvertito il pericolo. A chiamare il 112 dopo gli spari, il locale che, secondo alcune testimonianze, aveva avvisato i soccorsi anche una seconda volta, nel corso della serata. Se così fosse e gli agenti fossero intervenuti prima, forse Martina avrebbe potuto salvarsi.