Da mesi Baby Gang, all’anagrafe Zaccaria Mouhib, trapper di 21 anni, è al centro della cronaca per aver preso parte ad una sparatoria avvenuta tra il 2 e il 3 luglio scorso nell’hinterland milanese, durante la quale due persone di origini senagalesi erano state gambizzate. Arrestato assieme ad altri suoi coetanei – tra cui il trapper Simba La Rue, ora ai domiciliari – e trasferito in carcere, il trapper aveva chiesto alla pm Francesca Crupi e al giudice per le indagini preliminari Guido Salvini di poter ottenere gli arresti domiciliari in una comunità terapeutica; richiesta che gli è stata negata e che ha innescato la sua risposta, sottoforma di una lettera indirizzata ai giudici.
Baby Gang lettera dal carcere: “La musica è la mia àncora di salvezza”
“Sono detenuto da tre mesi e ho riflettuto parecchio sulla follia di quella notte”, scrive Baby Gang nella lettera indirizzata a Crupi e Salvini dal carcere e diffusa oggi dall’edizione milanese del Corriere. “Ho avuto una reazione davvero esagerata perché ero completamente ubriaco”. Lo stato di alterazione causata dagli alcolici è confermata in effetti da alcuni filmati delle videocamere di sorveglianza che avevano inquadrato la rissa in Corso Como, luogo della sparatoria; inoltre, più volte, nelle successive intercettazioni, gli amici del trapper avevano parlato di come, quando beve, egli sia particolarmente fuori controllo. “Quando sono stato arrestato, ho letto nelle carte del processo cose non vere sul fatto che avrei programmato di aggredire quei ragazzi e che avrei dovuto rapinarli – prosegue la lettera -. Dalle immagini si vede chiaramente che hanno iniziato loro”.
In ogni modo, Zaccaria era armato. “Sebbene non sia stato io a sparare ho portato con me quell’arma e mi sento in colpa per quello che è successo – scrive a tal proposito -. Non ci sono giustificazioni per girare armato”. Dopodiché il ragazzo confessa di aver iniziato a bere da ragazzino e di fare uso di hashish tutti i giorni. Su questi presupposti, del resto, forte della consulenza tecnica di un chimico forense, e previa la domanda (accolta) a due comunità, il suo difensore, l’avvocato Vecchioni, aveva di recente esplorato in Procura la possibilità di sostituire la detenzione con il trasferimento in un’apposita struttura: richiesta negata da Salvini, che si era espresso in favore della permanenza in cella, sostenendo che l’uso della cannabis da parte dell’imputato non fosse qualificabile come dipendenza, ma come “stile di vita”.
Una scelta che ha innescato, nel legale, il ricorso al Riesame, anche considerate le parole del trapper, che aveva dichiarato di essere disponibile e motivato a iniziare un percorso di comunità e con il Sert. Da qui la valutazione psicodiagnostica dello specialista, per il quale il carcere non sarebbe effettivamente idoneo al percorso necessario al ragazzo. “Il soggetto è figlio unico, ma i genitori hanno avuto altri figli da altre relazioni. Relativamente al periodo pre-adolescenziale e adolescenziale emergono, dal racconto del signor Mouhib, condotte devianti, difficoltà scolastiche, e il non avere orari prestabiliti con conseguente insufficienza di controllo genitoriale. Si ipotizza un’educazione ‘permissiva e/o indulgente’ contrapposta ad un rispetto delle regole come conseguenza di errori e sbagli e quindi ‘punitiva’ e non ‘evolutiva’”, scrive la psicoterapeuta.
Un’infanzia e un’adolescenza difficili, quindi, quelle vissute dal trapper, segnate fin da subito da piccoli crimini e da svariate detenzioni in carcere, frutto della mancanza di un vero e proprio controllo genitoriale. Motivazioni che non sono servite a cambiare l’opinione della Procura, da dove più volte hanno ribadito gli atteggiamenti di mancata collaborazione esibiti dal ragazzo negli interrogatori. Lui, a margine della lettera inviata ora a pm e gip, scrive: “La musica è la mia àncora di salvezza e oggi io ho davvero paura di perdere l’unica fortuna che ho avuto nella vita”.