OMICIDIO GIANNA DEL GAUDIO – Antonio Tizzani è stato assolto dall’accusa di omicidio nei confronti della moglie, Gianna Del Gaudio in primo e secondo grado. La donna era stata trovata morta, il 29 agosto 2016, nella cucina della loro villetta con un profondo taglio alla gola causato da un taglierino. A trovarla senza vita e a chiamare i soccorsi, quella notte era stato proprio il marito.

Antonio Tizzani, durante la lettura della sentenza nel tribunale di Bergamo, 23 dicembre 2020. L’uomo è stato assolto dall’accusa di aver ucciso la moglie, Gianna Del Gaudio. Tizzani ha detto che trascorrerà il Natale con i figli. ANSA / Tiziano Manzoni

Omicidio Gianna Del Gaudio, l’accusa e gli errori dei RIS

Secondo l’accusa, Tizzani aveva colpito la moglie dopo una lite, inserita poi in un quadro di maltrattamenti.

Il 6 ottobre 2016, era stato ritrovato un sacchetto dove all’interno c’erano l’arma del delitto e un paio di guanti, presso una siepe. Il Reparto Investigazioni Scientifiche (RIS) dell’Arma dei Carabinieri, aveva eseguito così delle analisi sui reperti. Tale elemento è stato contestato dai giudici di primo e secondo grado. Uno degli errori riguarda il prelievo del DNA sull’arma del delitto, che è stato fatto senza avvisare il consulente di difesa.

L’errore riguardo il mancato avviso

L’11 ottobre 2016, i Carabinieri del RIS, avevano eseguito due prelievi, da cui non era emersa alcune traccia genetica di Tizzani. Le parti erano state avvisate. Il 9 novembre 2016 però, furono eseguiti 6 ulteriori prelievi, che, come spiegato dai giudici di secondo grado “a eccezione dell’ultimo, davano nuovamente esito negativo“. L’esame è stato svolto su una piccola porzione della lama, nascosta dal manico, dove sembrava non esserci nessuno traccia di sangue della Del Gaudio. In questo contesto però, è stato trovato un “esiguo quantitativo di materiale biologico” appartenente al marito della vittima. Nonostante il risultato, i giudici di primo e di secondo grado hanno sostenuto che il secondo prelievo sia avvenuto in violazione dell’Articolo 360 del codice di Procedura penale che prevede che “le parti siano informate mediante avviso formale dell’inizio delle operazioni, così da garantire l’instaurazione del regolare contraddittorio“. I RIS non avevano dunque avvisato la difesa.

L’errore riguardo il rischio contaminazione

Il secondo errore invece, riguarda il rischio contaminazione. I giudici hanno mostrato come, la violazione dei protocolli “sostanzialmente riconosciuta anche dagli stessi operanti del RIS, ha comportato chiaramente il rischio che il DNA di Tizzani potesse trasferirsi sul reperto per contaminazione avvenuta in laboratorio“. I magistrati sostengono che “a fronte delle numerose risultanze probatorie che orientano per confermare l’assoluzione dell’imputato, tale dato genetico, per le gravi criticità che hanno accompagnato il giudizio sulla genuinità e attendibilità di esso, non sarebbe comunque in grado di mettere in crisi la mole di elementi che nel complesso contrastano, oltre ogni ragionevole dubbio, l’ipotesi che Tizzani Antonio abbia commesso l’omicidio con dolo d’impeto o con premeditazione“.

La dinamica dell’uccisione di Gianna Del Gaudio i dettagli che discolpano il Tizzani

Entrambi i collegi hanno stabilito che la professoressa in pensione, come confermato dai consulenti tecnici, sarebbe stata attaccata alle spalle mentre lavava i piatti. Sul corpo infatti, non sono state rinvenute lesioni di una colluttazione o di una reazione di difesa. Stando a questa ricostruzione, l’omicida voleva provocarle una morte rapida e senza possibilità di reazione: “Un gesto che faceva pensare a un lucido e determinato assassino, piuttosto che a un marito sconvolto dal dolo d’impeto“. Inoltre, la tipologia di guanti trovata, non apparterrebbe alla dotazione presente in casa, così come l’arma del delitto.

I giudici hanno ritenuto che la vittima non abbia urlato né prima né dopo l’aggressione, segnale di una lite non avvenuta: “Un dato probatorio che si armonizza proprio con la ricostruzione della dinamica omicidaria appena descritta, siccome eseguita sorprendendo alle spalle la vittima, senza che la stessa avesse avuto il tempo di accorgersi dell’aggressore“. Tali dati, “contrastano notevolmente con l’esistenza di una precedente lite e, in ogni caso, con il dolo d’impeto in campo all’imputato“.

Per la Corte la premeditazione non sussiste sia perché il taglierino non è stato nascosto, ma abbandonato: “Alcuni metri che possono definirsi “pochi” per ricostruire un nascondiglio sicuro e, al contempo, “troppi”, per essere tale luogo raggiungibile in poco tempo (15 minuti circa) e tornare subito a casa in 7′“; sia perché ci si è sbarazzati dell’arma, anziché occultarla. Era emersa poi, anche l’ipotesi che l’uomo avesse nascosto l’oggetto contundente in casa propria per poi spostarlo in seguito, ma questo contrasta con l’esito “della scrupolosa perquisizione domiciliare eseguita dagli operanti“, e con il fatto che sarebbe stato nascosto “in un luogo molto più idoneo per non essere ritrovato“.

Per finire, nessuna traccia ematica è stata trovata sui vestiti dell’ex ferroviere in pensione. Gli addetti ai lavori, così come i familiari accorsi, non hanno notato sangue sugli abiti. Un dettaglio importante, visto che la lesione al collo della donna ha provocato un’importante fuoriuscita di sangue.