Il primo ministro giapponese Fumio Kishida non intende fare marcia indietro sulla decisione di rilasciare nell’Oceano Pacifico circa un milione di tonnellate d’acqua provenienti dalla centrale nucleare di Fukushima. L’argomento è estremamente delicato e continua a incontrare da mesi la ferma opposizione da parte della comunità locale, a cominciare dai pescatori. Si attendono novità entro la primavera, quando dovrà essere presa una decisione definitiva. L’ultima parola spetta all’organo competente delle Nazioni Unite, chiamato a redigere un rapporto completo.

Nello specifico, il dossier è sul tavolo del governo da circa due anni. Per il momento non sono servite le raccomandazioni circa la realizzazione di un apposito sistema di filtraggio delle particelle radioattive, anche perché gli studiosi hanno sottolineato che ci sono alcune sostanze come il trizio che sono indivisibili dalle particelle di acqua.

Acqua centrale di Fukushima nell’Oceano Pacifico, pro e contro

Rassicurazioni che dunque non hanno fatto breccia nel cuore dei giapponesi. Anche perché quando pensi a Fukushima la mente corre al disastro avvenuto nel 2011, quando un terremoto sottomarino generò in superficie uno tsunami di magnitudo 9.0 provocò oltre 18mila vittime e un disastro nucleare secondo solo a Chernobyl a causa dell’accensione di tre reattori nucleari: ecco che rilasciare nell’acqua dell’Oceano Pacifico (e non in aria come accaduto 12 anni fa) una piccola quantità di materiale radioattivo manda in fibrillazione un popolo che in tema di salute è sempre piuttosto cauto.

Per ora le acque di scarto della centrale si trovano immagazzinate all’interno di maxi serbatoi (circa un migliaio), già in sovraccarico secondo l’attuale produzione, il cui destino inevitabile sarà quello di essere svuotati (i lavori di smantellamento dureranno circa 40 anni secondo le stime). Il governo, come detto, ha già strutturato un piano di rilascio dell’acqua in modo tale da minimizzare i rischi: è stato infatti costruito un tunnel apposito che riceverà l’acqua decontaminata per liberarla gradualmente nel sottosuolo. Della realizzazione si è occupata la Tokyo Electric Power, che ha ammesso l’impossibilità di ottenere un risultato del 100% proprio per la presenza di trizio: un componente radioattivo dell’idrogeno. L’acqua stagnante è il mix di quattro processi contemporanei: quella proveniente dalla falda, quella risucchiata dal mare, quella piovana e quella utilizzata per i sistemi di raffreddamento.

Non mancano chiaramente agitazioni anche sul versante internazionale. L’Aiea, che abbiamo imparato a conoscere per l’importanza strategica di Zaporizhzhia (in Ucraina), può essere un alleato chiave del Giappone data la sua credibilità: il suo parere è infatti favorevole, poiché questo sistema è universalmente utilizzato con risultati rassicuranti. Ma Cina, Corea del Sud e l’area indo-pacifica la vedono diversamente. Henry Puna, segretario generale del Forum indo-pacifico, chiede una sospensione del procedimento finché non ci saranno studi chiari sugli effetti di un’operazione simile, facendo leva sul fatto che la risorsa marina è cruciale per l’economia di questi popoli.

Secondo il piano approvato venerdì dal gabinetto giapponese, i pescatori potranno accedere a un nuovo fondo da 50 miliardi di yen (385 milioni di dollari), per sopperire a eventuali ripercussioni che ciò comporterà sull’economia locale.