La politica torna a parlare di ritorno delle province a dieci anni dalla riforma che le ha rese di fatto un ibrido a metà tra Comuni e Regioni, senza svolgere i compiti specifici né dell’uno e né dell’altro. Considerate l’emblema della burocrazia, inutili e costose, sembravano tutti d’accordo nel volersene liberare. Fino ad oggi, appunto, dal momento che ben quattro Ddl a firma Fi, FdI, Lega, Pd vogliono rimetterci mano a partire dall’elezione diretta del presidente e dei consiglieri, più nuove funzioni da ripensare e riportare al vecchio ente intermedio depotenziato dalla riforma Delrio. Nel 2014, infatti, la legge partorita dall’allora governo Renzi aveva dato il colpo di grazia ai già svuotati organi provinciali, privandoli di competenze, strutture, personale e senza che i componenti fossero eletti a suffragio universale (come del resto avviene tutt’ora).
Ritorno delle province, perchè ora tutti le rivogliono. Le proposte, i tempi. tutto quello che c’è da sapere
Le province, quale ente di congiunzione tra Comuni e Regioni, avevano un peso importante. Il Presidente e il Consiglio provinciale venivano eletti direttamente dai cittadini e spesso la loro elezione, quantunque non paragonabile a quella di un organo municipale, era particolarmente sentita dall’elettorato proprio in ragione del legame più stretto col territorio di appartenenza. La legge elettorale con premio di maggioranza garantiva un presidente eletto, una maggioranza a sostegno di quest’ultimo in consiglio, una giunta formata da membri della maggioranza e le liste sconfitte all’opposizione. Proprio come avviene per le elezioni comunali, per intendersi. Tuttavia, già a partire dal 2010, sono cominciate le prime aggressioni per sottrarre risorse e competenze alle province, visti ormai come enti secondari da cui poter ricavare un risparmio in termini di spesa pubblica. La vera svolta però è arrivata durante il governo Matteo Renzi nel 2014: l’allora Ministro alle Infrastrutture e trasporti Graziano Delrio tentò infatti di portare a termine il piano di abbattere quegli enti diventati ormai anacronistici. Vennero abolite le elezioni dirette di presidente e Consiglio e le province persero di fatto risorse e competenze che le lasciarono spogliate di funzioni specifiche. Questa condizione sarebbe dovuta essere temporanea: la riforma Delrio, infatti, era legata alla legge costituzionale pensata da Maria Elena Boschi e Matteo Renzi. Se fosse passato il referendum, le province sarebbero state abolite del tutto. Così non è stato. Nel dicembre 2016 i cittadini si sono detti contrari alle modifiche della Costituzione del premier Renzi, compresa l’eliminazione delle province. Quindi sono rimaste così come le aveva lasciate la riforma Delrio e quella che sarebbe dovuta essere una legge pro tempore, è diventata strutturale. Da quel momento in poi non se ne è più parlato, slavo constatare la continua perdita di competenze u utilità degli enti provinciali, che si è tradotta in un continuo aggravio di lavoro per Comuni e Regioni. Come detto oggi non si vota più per gli organi provinciali. Ogni due anni, infatti, i consiglieri comunali e i sindaci a eleggono il consiglio provinciale e ogni quattro scelgono il presidente della provincia, che deve essere necessariamente un sindaco con almeno 18 mesi di mandato sul suo curriculum. La stessa cosa vale per le città metropolitane, con l’unica differenza che il sindaco metropolitano è di diritto quello del comune capoluogo. Va ricordato che chi amministra la provincia lo fa a tempo perso, senza remunerazione e senza alcun riconoscimento. Se ne occupa dopo aver affrontato le urgenze a livello comunale. Per quanto concerne le competenze rimaste, invece, alle province ne restano tre e anche parziali: scuola, viabilità e parte dell’ambiente. Parziali, si, perchè alla fine fine le scelte più importanti ricadono su Comuni e Regioni, a cui sono passati tutti compiti svolti prima dalle province, con l’unico problema che a restare indietro sono spesso quei territori ancora interessati dai servizi controllati dalle province (o da quello che ne resta).
I disegni di legge presentati in Senato
Vista la situazione non più trascurabile, i partiti hanno deciso di affrontare il problema e hanno presentato in Senato quattro Ddl che puntano al ripristino del sistema di elezione a suffragio universale e diretto delle province: il primo di Forza Italia a prima firma Licia Ronzulli insieme ad altri senatori, tra cui Silvio Berlusconi; un’altro di Marco Silvestroni di Fratelli d’Italia; uno altro ancora di Massimiliano Romeo della Lega e uno infine di Bruno Astorre del Partito democratico. L’appoggio è dunque trasversale, segno che le criticità a riguardo sono note a tutti. Le proposte sono state depositate e sarebbero già pronte a finire sul tavolo della commissione Affari costituzionali che, a giorni, inizierà le audizioni e l’esame congiunto dei testi. La relatrice è la leghista Daisy Pirovano, che si è detta emozionata di avere in mano anche un testo del Pd, perché “finalmente anche voi avete capito che quella riforma è stata un errore”. Stando alle dichiarazioni della senatrice della Lega, i disegni di legge non si discostano molto l’uno dall’altro: partono da premesse condivise per approdare a proposte simili. Non è dunque escluso che si possa arrivare a un testo bipartisan, sostenuto sia a destra che a sinistra.