Una delle definizioni della parola “verticale”, secondo la Treccani, è: “Che si articola dall’alto in basso, da un livello superiore a uno inferiore, o secondo una determinata successione di valori o di fasi”. La “Verticale”, nel mondo del vino, consiste nell’assaggiare lo stesso identico vino ma di annate differenti, serve a capire come un vino potrebbe evolversi nel tempo, a capirne il suo potenziale di invecchiamento, se ne ha uno

Le serate di degustazioni sono piene di verticali, vanno praticamente più di moda nel mondo del vino che non nelle ore di ginnastica nelle scuole: verticali di vini rossi solitamente, verticali di bollicine e, più raramente, verticali di bianchi. Più raramente perché sono in percentuale più bassi i vini bianchi che hanno questo famoso potenziale di invecchiamento.

Scusate avrei una domanda: “E le verticali di vini rosati?!” Ecco le verticali di vini rosati sono un po’ come i due liocorni nella canzone dei coccodrilli!

I motivi sono vari, tutti incredibilmente validi:

  • I vini rosati non invecchiano, vanno bevuti giovani;
  • Mentre siamo disposti a spendere qualche decina di euro a bottiglia per i rossi, per i bianchi o per gli spumanti, ci viene più difficile pensare di spendere qualche decina di euro per una bottiglia di vino rosato: un vino rosato che può invecchiare richiede sicuramente uno sforzo maggiore dell’azienda produttrice, di conseguenza costerà di più al consumatore, che non lo comprerà.

Viene ancora meno logico, quindi, spendere dei soldi per “provare” a partecipare ad una verticale di rosati per vedere come (e se) può evolversi: “soldi buttati… sarà buona solo l’ultima e al massimo la penultima annata, non di più!”. Eppure, se provassimo a fare una ricerca veloce della categoria “spumanti”, vedremmo che gli spumanti rosati sono in realtà molto più costosi della stessa etichetta vinificata in bianco, son pazzi sti spumantisti.

Il rosato sfida il mercato

Ma torniamo a noi: i vini rosati, fermi. Il mercato chiede, a volte esige, dei rosati freschi, beverini, che facciano della loro leggerezza il loro cavallo di battaglia, i classici vini rosati da bere al tramonto su una spiaggia del Salento, magari leggermente frizzanti: così disseta meglio.

Il mondo è bello perché è vario, ed il mondo del vino è ancora più bello perché è ancora più vario…proprio nel Salento, infatti, dove il rosato è ormai moda, ci sono dei produttori che resistono e sfidano ancora oggi le leggi del mercato per fare un vino rosato che sia tradizione, cultura e storia, oltre che un gran vino. Qui il rosato è il vino di punta della cantina, non un avanzo o uno scarto del rosso, vediamo il perché.

Il metodo di produzione a lacrima

In alcune cantine del Salento, una minima parte, il rosato viene ancora prodotto con il tradizionale metodo “a lacrima”, un metodo vecchio “solo” qualche millennio: le uve raccolte si rompono delicatamente a causa del peso delle uve sovrastanti e iniziano quindi a “lacrimare”, dando quello che viene definito il “mosto fiore”. Con questo metodo, del tutto naturale, si ottiene una resa del solo il 30%, il resto viene considerato uno scarto.

La tecnica è simile a quella del salasso francese, la tecnica però… perché la filosofia è diametralmente opposta: nel salasso tolgo il 30% di succo in modo da ottenere un rosso più carico e strutturato e con questo 30%, giacché ce l’ho, ci faccio il rosato. Nel sistema a lacrima invece il cuore pulsante del processo è quel 30%, il restante 70% è scarto, un mezzo suicidio se dovessimo guardarla solo da un punto di vista economico/imprenditoriale. Perché farlo quindi? Perché è un metodo storico, sicuramente, ma non solo.

La verticale di “Cerasa”, il rosato di Michele Calò e figli

L’altro motivo per cui questo vino viene ancora prodotto con questo metodo è perché i rosati di questa tipologia sono stati tra i rosati più buoni che mi siano mai capitati, alcuni dei vini più buoni che abbia mai assaggiato, soprattutto se considerati nel rapporto goduria creata/prezzo. Ah non vi ho detto una cosa: erano dei rosati del 2018, del 2016, 2015 e 2013. Degustati nel dicembre 2022, quasi 10 anni dopo.

Ve l’aspettavate?! No?! E neanche io… immaginavo che il rosato 2015 potesse essere ancora bevibile, ci speravo più che altro, non immaginavo che fosse il mio preferito, un vino lontano dai rosati che siamo abituati a bere, quelli giovani, lontano anche dalla sua versione giovane, anzi lontanissimo. Una degustazione che mi ha portato a capire che non ci capivo nulla… perché bere un rosato di quel tipo nei primi due anni equivale a un infanticidio, così come non ci sogneremmo mai di bere un barolo giovane.

Una verticale di rosato che ha capovolto quello che credevo sui vini rosati quasi come mi capovolgevo io nelle ore di ginnastica quando provavo a farla quella famosa verticale.

Una verticale di rosato che mi ha fatto letteralmente commuovere per quanto buoni erano quei vini. Ma guarda te questo metodo a lacrima che per poco non la fa scendere anche a me quella lacrima, di gioia ovviamente.

Giovanni Serio