Il cemento degli antichi romani si auto ripara, questo spiegherebbe la capacità di durare millenni. Esempio fra tutti il Pantheon, costruito nel II secolo dopo Cristo e rimasto pressoché intatto per quasi duemila anni. Il cemento usato dai romani, infatti, in molti casi si è rivelato più duraturo della sua controparte moderna, che invece inizia a mostrare segni di deterioramento dopo qualche decina d’anni. Molti edifici dell’antica Roma erano costruiti con quella veniva definita opera cementizia. Una tecnica utilizzata sin dall’inizio del terzo secolo, che si basa su un tipo di antico calcestruzzo noto come cementizio. Duttile, economico, ma soprattutto resistente. Qual è il segreto di un materiale così duraturo? Il mix di ingredienti da cui veniva ottenuto, che stando un nuovo studio dell’Mit di Boston conferiva al composto proprietà auto-rigenerative. Vediamo i dettagli.

Cemento romano, ecco perchè è in grado di durare millenni. La scoperta del Mit di Boston

La formula del cemento romano prevedeva l’utilizzo di calce, pozzolana e tufo vulcanico, che venivano attivati con l’utilizzo di acqua marina, e indurivano cementando il composto nella forma desiderata. Rispetto al cemento in uso oggi, la formula era molto differente: il cosiddetto cemento Portland, il più comune ogiggiorno, utilizza infatti un composto ottenuto cuocendo argilla e calcare ad alte temperature,mischiato a gesso e poi sabbia. Ha molte caratteristiche utili, ovviamente, ma in quanto a resistenza non può competere con quello romano: il cemento moderno infatti ha una durata compresa tra i 50 e i 100 anni, oltre i quali è destinato a sgretolarsi, e richiede quindi manutenzione continua, se non la sostituzione e l’abbattimento delle strutture. Per indagare il segreto delle tecniche costruttive romane, i ricercatori dell’Mit hanno studiato un campione di cementizio prelevato a Priverno (in provincia di Latina), e proveniente da un sito archeologico risalente a circa 2mila anni fa. Nei loro laboratori hanno concentrato l’attenzione su un particolare tipo di depositi riscontrabili nel cemento romani, chiamate clasti calcarei: frammenti di calcare che fino ad oggi erano sempre stati ritenuti impurità, frutto delle tecniche primitive con cui venivano mescolati gli ingredienti nell’antichità. Dopo aver analizzato la composizione del materiale, nel loro studio, pubblicato su Science Advances, i ricercatori americani hanno formulato un’ipotesi differente:  i grossi blocchi calcarei presenti all’interno del cemento sono in grado, nel tempo, di riparare le crepe che si formano nella struttura. Lungi dall’essere un difetto, la presenza di questi clasti calcarei, dunque, sembrerebbe essere il segreto scoperto dagli antichi romani per produrre un materiale di costruzione progettato per durare (letteralmente) millenni. Riproducendo il processo in laboratorio, e producendo quindi delle piccole fratture nei blocchi di cemento per simulare gli effetti del tempo, i ricercatori del Mit hanno osservato che i frammenti di calcare sono in grado di riparare il materiale, reagendo con l’acqua (che fuori del laboratorio è fornita in abbondanza dalla pioggia) dissolvendosi e poi cristallizzando nuovamente, e andando così a riempire micro-crepe e microfratture prodotte dal passare del tempo.

I potenziali benefici in termini di impatto ambientale

Secondo i ricercatori del Mit, l’intuizione degli antichi romani rappresenta uno spunto interessante, che potrebbe aiutare anche al giorno d’oggi a migliorare i nostri materiali di costruzione: l’utilizzo di calce viva, o composti con caratteristiche simili, potrebbe infatti rendere più duraturo il cemento, e avrebbe il beneficio ulteriore di rendere l’intero comparto edile meno inquinante, riducendo la necessità di rimpiazzare le costruzioni dopo pochi decenni di utilizzo.