Il dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti è pronto a fare chiarezza in merito ad alcuni documenti segreti governativi trovati all’interno del Penn Biden Center for Diplomacy and Global Engagement, un edificio situato a Washington direttamente collegato al presidente Joe Biden.
Il compito spetterà in particolare alla procura di Chicago. Le primissime ricostruzioni parlano di un volume ridotto, circa una dozzina di file, rinvenuti durante la perquisizione insieme ad altre carte che invece risultavano di pubblico dominio. Si cercano collegamenti con il passato del 78enne, sia quando fu vicepresidente di Obama sia durante il suo mandato di professore onorario all’Università della Pennsylvania.
Documenti segreti pro-Biden, le differenze con il caso Trump
L’unica certezza in merito al ritrovamento di documenti segreti negli uffici di Joe Biden è che la notizia rimbalza sui media e intercetta anche Donald Trump. L’ex presidente non indugia nemmeno un secondo e coglie la palla al balzo, attaccando immediatamente il rivale dopo che lui stesso fu pescato in fallo lo scorso luglio (e su cui è ancora in corso il processo giudiziario).
Ci sono diversi punti oscuri in ballo: in primis la tempistica, dal momento che i file sono stati scoperti a novembre mentre la notizia viene pubblicata solo oggi. In ogni caso, il governo americano ha messo in campo tutte le sue forze disponibili, Fbi inclusa, tuttavia l’indiscrezione rischia di agitare le due Camere, con i repubblicani pronti a sfruttare l’evento a proprio vantaggio. A rinvenire i dossier sarebbero stati i legali dello stesso Biden, i quali avrebbero poi trasmesso l’intera documentazione agli Archivi Nazionali.
Secondo la legge a stelle e strisce, nel momento in cui si conclude la propria attività per conto dello Stato si è obbligati a consegnare agli Archivi Nazionali tutta la documentazione ufficiale in proprio possesso. Qui però terminano le somiglianze tra il caso Biden e quello Trump: differente la quantità di carte “sospette”, diverso anche il mandante della perquisizione e la tipologia di documenti (quelli dell’attuale leader della Casa Bianca non parrebbero altamente compromettenti o pericolosi per la sicurezza nazionale). Sul caso indaga David Weiss, procuratore federale, incaricato da Merrick Garland, attuale ministro della Giustizia.
Per ora Biden rimane in silenzio
Sulla piattaforma social Truth di sua proprietà il tycoon è un fiume in piena e richiede l’immediato intervento dell’Fbi in tutti gli uffici e le residenze riconducibili al leader democratico. Kevin McCarthy, il neoeletto Speaker della Camera parla di “vicenda preoccupante“. Ora dunque la situazione si è ribaltata e c’è chi rinfaccia a Biden le sue affermazioni di qualche mese fa, quando definì Trump “irresponsabile”. Per il momento non sono arrivati commenti dal diretto interessato, l’unica comunicazione è a firma Richard Sauber, portavoce speciale del presidente: nella nota si parla di “collaborazione con la giustizia” e di “assenza di precedenti richieste da parte degli Archivi Nazionali“.
Sul rettangolo di gioco è sceso anche Donald Trump Jr, che ha immediatamente preso le difese del padre ricordano i giudizi e gli atteggiamenti vessatori avuti dai democratici e dalla stampa dopo la notizia del blitz nella vila in Florida. In un post, si legge che “questo reato è paragonabile a un tradimento nonché motivo di impeachment, tuttavia ho la percezione che nulla di tutto questo accadrà“.