Nessuna preclusione alle alleanze sia con il Terzo polo sia con 5 Stelle, purché circoscritte ai programmi e per battere gli avversari. “Non a tavolino”, insomma. Stefano Bonaccini, in corsa per la successione di Enrico Letta alla guida del Pd, rilancia il ‘mantra’ delle alleanze e snobba il braccio di ferro sulle primarie on line, innescato dalla proposta della sfidante Elly Schlein. Per essere ammesse, servirebbe una modifica dello statuto. “Non mi interessa ora parlare di regole. C’è una commissione preposta”, taglia corto il governatore dell’Emilia-Romagna nel suo tour elettorale al sud. E ribalta il tema: “Vedo che altri si interessano di questo, io invece preferisco occuparmi di salario minimo, di sanità pubblica che viene tagliata, di scuola e ambiente”.
Temi, in realtà, sollecitati anche dalla sua ex vice in Regione che ha chiesto ai Dem di farne una priorità. “Per questo continueremo a proporre, in ogni passaggio parlamentare, anche l’introduzione del salario minimo”, rammenta Schlein. Per il resto Bonaccini continua a intestarsi la battaglia sulla riforma dell’autonomia: mettendosi più nei panni dell’amministratore locale, insiste a dire no alla bozza proposta dal ministro Roberto Calderoli (di cui ha chiesto il ritiro) e promette: “Se pensano di spaccare l’Italia e aumentare le differenze tra nord e sud, troveranno un muro”. Intanto a stretto giro pesano malumori e fermenti interni, che covano in vista delle primarie che tra un mese designeranno il prossimo leader e che potrebbero slittare di una settimana, dal 19 al 26 febbraio. Se ne discuterà nella Direzione di mercoledì, così come eventualmente di allargare al voto extra gazebi e circoli. Ma è sul futuro del partito che serve ragionare, è la sollecitazione più diffusa. E Bonaccini sembra andare oltre. Immagina “un Pd popolare, che sta di più tra le persone” e non “dentro una cerchia di gruppi dirigenti” e che non ha paura ad aprirsi. In più, nessun veto sugli ex alleati guidati da Conte e su quelli del patto mancato con Calenda e Renzi, alle ultime politiche. Ma con un doppio paletto: “Non puoi pensare di fare alleanze in condizioni di debolezza e quindi di subalternità”, e “non a tavolino” bensì su programmi e temi, facendo notare che i patti siglati a livello locale risentono delle peculiarità dei territori. Il pensiero corre alle regionali di febbraio che ad esempio nel Lazio vedono in campo Alessio D’Amato per Dem e Terzo polo: all’assessore alla sanità laziale il M5s ha detto no (anche per la sua posizione sugli inceneritori) virando invece su Donatella Bianchi, l’ex presidente del Wwf che ufficialmente sarà in corsa da martedì.
Ma i dem in queste ore hanno anche un’altra grandissima preoccupazione che accomuna tutti i candidati alla segreteria del partito: l’affluenza alle primarie. “Nessuno si aspetta che in milioni vadano a votare come è capitato negli anni passati però speriamo almeno di portare alle primarie 50.000 persone altrimenti sarebbe un flop clamoroso”. Sotto quota 50.000 sarà un dramma per il partito democratico. Chiunque vincesse sarebbe un segretario azzoppato in partenza. clCon buona pace di chi spera nella riscossa PD.