Banda della Uno Bianca. In un arco temporale di 7 anni si è consumata un’attività criminale che ha colpito l’Emilia Romagna e le Marche. Ma chi c’era dietro a questa organizzazione che ha seminato terrore utilizzando l’utilitaria fiat dalla quale ha preso il nome per compiere 103 crimini, 34 morti e un centinaio di feriti?
Banda della Uno Bianca: i componenti
I componenti della banda erano tre fratelli Roberto, Alberto e Fabio Savi. I primi due poliziotti come Pietro Gugliotta, Marino Occhipinti e Luca Vallicelli, il terzo invece era un camionista.
Roberto, era poliziotto alla Squadra Mobile di Bologna ed Alberto, detto Luca, poliziotto presso la Polaria di Rimini, gli altri tre complici, agenti della Polizia di Stato in forza alla Squadra Mobile di Bologna.
Fabio e Roberto sono stati “l’anima dura” della Banda della Uno Bianca, infatti sono stati coloro i quali hanno partecipato a tutti gli eventi criminosi caratterizzando il livello di violenza delle attività criminali del gruppo, quindi riconosciuti colpevoli della quasi totalità dei reati di sangue ascritti alla Banda, sono stati condannati all’ergastolo.
Gli altri, Alberto Savi, Pietro Gugliotta, Marino Occhipinti e Luca Vallicelli sono stati membri associati e non hanno ma hanno svolto il ruolo da gregari, erano coloro i quali ricevevano in macchina precisi ordini da Roberto poco prima di dirigersi verso il luogo prescelto.
Banda della Uno Bianca: le rapine gli agguati
Agguati di matrice razzista, rapine a banche e a uffici postali, supermercati e benzinai, queste le prime azioni delle 6 persone nei primi due mesi di attività criminale.
Diverse le vittime: il sovrintendente Antonio Mosca in seguito a un intervento culminato con un conflitto a fuoco atto a sventare un tentativo di estorsione ai danni dell’autosalone Grossi, morì nel 1989, il 4 gennaio del 1991 i carabinieri Otello Stefanini, Andrea Moneta e Mauro Mitilini in seguito ad un assalto alla pattuglia al quartiere Pilastro di Bologna.
Il 28 agosto 1991 due operai senegalesi per razzismo a San Mauro Mare. Successivamente, Massimiliano Valenti reo di aver assistito allo scambio di automobile della banda dopo la rapina in banca fu sequestrato e ucciso dietro un esecuzione e agli inizi del 1993 fu ritrovato il suo corpo. Nel 1994, il direttore della banca Ubaldo Paci mentre apriva la sua filiale della Cassa di risparmio di Pesaro.
Tra gli altri episodi criminosi attribuibili alla Banda della Uno Bianca, vi sono l’omicidio della guardia giurata Giampiero Picello, l’omicidio della guardia giurata Carlo Beccari, i quattro tentati omicidi di guardie giurate e l’omicidio immotivato del pensionato Adolfino Alessandri, l’omicidio di Primo Zecchi, gli omicidi di Luigi Paschi e Paride Pedini, l’omicidio di Claudio Bonfiglioli, il duplice omicidio nell’armeria di via Volturno a Bologna, l’omicidio del benzinaio Graziano Mirri.
La Banda e i reati alla Coop
La banda della Uno Bianca si focalizzò sui supermercati Coop. Il commando il 20 aprile del 1988 si scagliò contro due carabinieri colpevoli di essersi avvicinati all’auto della banda durante un’attività di perlustrazione. Tutto questo nel parcheggio di una Coop a Castelmaggiore. Vennero uccisi Umberto Erriu e Cataldo Stasi.
Ma il primo colpaccio in termini economici venne messo a segno in una Coop di Bologna, era il 13 ottobre del 1988. In quell’occasione i rapinatori prelevano ben cento milioni di lire.
Per quella rapina vennero erroneamente arrestati altri pregiudicati catanesi totalmente estranei ai fatti. Questi erano stati denunciati da una loro basista, Annamaria Fontana che, incredibilmente, venne ritenuta attendibile dagli inquirenti.
I sospetti
Dal modus operandi, dall’abilità dei rapinatori con le armi e dall’inafferrabilità del gruppo nacque il sospetto da parte dell’ispettore Luciano Baglioni e dell’assistente capo Pietro Costanza della presenza degli uomini in divisa all’interno della banda.
Per anni tutti i fatti di cronaca, gli omicidi, i sequestri e le rapine non vennero collegati fra loro ma la svolta arrivò nel gennaio del 1994. a porre fine al settennato della Banda fu un giovane magistrato, il dottor paci che organizzò un pool per incastrare i criminali della banda.
Ciò che destò altri sospetti sul coinvolgimento di qualche uomo in divisa fu da il fatto da ricondurre a una conoscenza troppo approfondita da parte dei banditi delle abitudini dei dipendenti e delle banche assaltate.
Le indagini
A far scattare le indagini un passo falso di Fabio Savi: il 3 novembre del 1994 effettuò un sopralluogo presso una banca del riminese. Lo effettuò con una Fiat tipo bianca dalla targa irriconoscibile, che suscitò l’ attenzione e la curiosità degli investigatori.
L’ispettore Luciano Baglioni e l’assistente capo Pietro Costanza decisero di inseguire l’auto diretta verso il paese di Torriana. Una volta a destinazione, l’uomo a bordo della Fiat entra all’interno di una villetta.
Baglioni e Costanza si recarono così al municipio del paese e scoprirono che in quella abitazione abitava Fabio Savi. Da quel momento in poi le indagini subirono una notevole accelerazione.
Gli arresti
Le manette ai polsi di Roberto Savi sono scattate la sera del 21 novembre del 1994, mentre si trovava in servizio presso la Questura di Bologna e dietro disposizione della Questura di Rimini.
Il fratello Fabio, invece, venne arrestato tre giorni dopo, il 24 novembre, a 22 km dal confine con l’Austria mentre si trovava con la compagna Eva Mikula. Il 26 novembre è stata poi la volta di Alberto Savi e Pietro Gugliotta. Gli ultimi ad essere arrestati sono stati Marino Occhipinti e Luca Vallicelli.
I processi
I componenti della banda furono giudicati dalla Corte d’Assise di Pesaro, Rimini e Bologna. Il troncone giudiziario ha visto la sua fine il 6 marzo 1996 con la condanna a tre ergastoli per tutti e tre i fratelli Savi ed una condanna all’ergastolo per Marino Occhipinti.
Per Pietro Gugliotta, invece, i magistrati optarono per una pena di ventotto anni di reclusione, poi tramutata in diciotto anni. Per Luca Vallicelli, componente marginale nell’attività della banda, fu solamente scritta un’altra storia giudiziaria. L’uomo patteggiò una pena di tre anni ed otto mesi.
Nel corso dei processi venne altresì stabilito che lo Stato versasse ai parenti delle vittime 19 miliardi di lire.
Dopo 14 anni di reclusione nell’agosto del 2008, Pietro Gugliotta fu rimesso in libertà per via dell’indulto e la legge Gozzini. Dal 9 gennaio 2012 Marino Occhipinti iniziò a beneficiare del regime di semilibertà e a lavorare ogni giorno presso una cooperativa sociale di Padova. Ad oggi però è ancora in galera.