Proteste in Iran. Torna a parlare l’ayatollah Ali Khamenei, guida suprema spirituale dell’Iran. Negli ultimi giorni ha assunto il comando delle operazioni nel dare una svolta ancor più rigida sui modi di reprimere le manifestazioni di piazza, oltre a una serie di accuse contro l’Occidente reo di manipolare dall’esterno la rivolta.

Nelle scorse ore ha provveduto intanto alla sostituzione del capo delle forze di polizia: via Hossein Ashtari, giudicato “incompetente” senza mezzi termini, e dentro l’ex pasdaran Ahmadreza Radan.

Proteste in Iran, Khamenei chiede il pugno duro in qualsiasi situazione

Seyyed Ali Khamenei, ayatollah d’Iran, prende in mano la situazione e conferma la linea dura sulla repressione delle proteste in Iran. E’ giusto ammettere e tutelare le condanne a morte in quanto “le vittime hanno commesso un tradimento contro il proprio Paese“, senza contare che “la mano straniera, americana ed europea in particolar modo, è così evidente che non può essere ignorata“.

Solo qualche giorno fa, tuttavia, Khamenei aveva pronunciato parole che appaiono di circostanza in occasione della Festa nazionale della Mamma: nel suo monologo, l’ayatollah si era spinto ad affermare che le donne meritano maggior partecipazione nella vita politica e istituzionale del Paese e che pertanto serve una soluzione immediata al problema.

Contro di lui c’è un’ampia fetta del Paese. Nota a margine, la popolare azienda Meta, proprietaria di Facebook, Instagram e WhatsApp, ha autorizzato la diffusione di contenuti con lo slogan “morte a Khamenei”, sottolineando che non possiedono alcun carattere discriminatorio.

Tra le strade di Teheran e non solo, inoltre, la protesta si sposta all’esterno delle carceri: a Karaj, Iran centrale, la prima manifestazione contro la condanna a morte di un 22enne e di un 19enne, che fanno salire a 17 il conto dei condannati alla pena capitale. Il Sud in particolare sta ribollendo come mai prima d’ora, tirando fuori un passato di soprusi e sottomissioni che dura da oltre quarant’anni. Scontri con i Pasdaran (la principale organizzazione paramilitare) anche nelle università, un giornalista sarebbe poi morto suicida dopo essere stato scarcerato in seguito a un arresto di dubbia legittimità.