Ho sempre pensato che il rugby fosse uno sport duro, addirittura violento. Parlando con chi pratica questa disciplina sportiva ho scoperto che non è proprio così. Anzi, ha un grande valore educativo. Il significato lo spiega Andrea Lo Cicero, detto “Il Barone”, ex capitano della nazionale, carriera conclusa dieci anni fa, personaggio televisivo e agricoltore. Un corpo grande con un cuore delle stesse dimensioni. Qualche anno fa regalò momenti di autentica commozione e di gioia a un giovanissimo rugbista finito su un letto dopo un incidente. In una intervista al mensile Espansione raccontò i suoi infortuni. Sembrava quasi un bollettino di guerra: “Cinquantacinque punti in testa, di cui ventuno solo a un orecchio. Sei dita rotte. Quattro costole. Un gomito. Spalle lussate a volontà e una clavicola fratturata. Distorsioni varie alle gambe. Un collaterale rotto e una sublussazione del ginocchio. Uscite dal campo per infortunio: nessuna”. Questo è il rugby.
Il rugby, la disciplina raccontata da Andrea Lo Cicero e Mario Crepaz
Ossa rotta, infortuni a ripetizione, eppure è una disciplina educativa, in particolare per una fase del gioco, quella del passaggio. Il medico dello sport Mario Crepaz lo spiega bene: “Insegnare a passare la palla: un gesto semplice, quasi emblematico, di uno sport a valenza educativa, è rappresentato dal passare la palla.
L’istinto parla il linguaggio del possesso: il passaggio riassume il sacrificare parte del proprio ego al servizio della comunità, nasce da un’elaborazione culturale. Il rugby è maestro in questo perché insegna che da soli non si arriva in meta, che passare la palla non è solo necessario, ma indispensabile e conveniente, che non solo la palla si passa, ma che si deve pure passare solo indietro, a conferma che chi avanza sa, e ci conta, di essere sostenuto da tutta la squadra, fisicamente e moralmente, con braccia pronte a sostituirsi alle proprie. E dietro sanno che devono supportare chi avanza”. Un insegnamento per la vita.
Stefano Bisi