Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha omaggiato con un messaggio la memoria di Beppe Alfano, nel giorno del 30esimo anniversario della sua morte per mano della mafia.

Di lui il capo dello Stato ha ricordato “l’inestimabile impegno civico“, i valori di legalità e giustizia come fonte d’ispirazione del suo lavoro.

Alfano venne ucciso nel 1993 a Barcellona Pozzo di Gotto, sua città natale nel messinese, freddato nella propria auto da due colpi di pistola.

Mattarella su Beppe Alfano: “Ci ricorda che la legalità è un dovere di tutti”

Giuseppe Aldo Felice Alfano, conosciuto nell’ambiente giornalistico siciliano come Beppe, lavorò come corrispondente del quotidiano la Sicilia nell’alto messinese: Mattarella definisce “vile attentato” il blitz che pose fine alla sua vita, a 47 anni. Nel messaggio viene riconosciuta la qualità del suo mestiere di “narratore di una realtà complessa, con l’obiettivo di svelarne la quotidiana verità contro ogni forma di connivenza e corruzione“.

Un’eredità che deve diventare modello per le generazioni successive, ricorda il capo del Quirinale, “perché il contrasto alle mafie è responsabilità di tutti e il contributo di ciascuno è utile a creare un cultura solida della legalità“.

Anche la figlia Sonia ha ricordato in un’intervista il ricordo del padre, “la cui ferita è ancora aperta e ci impedisce di rivivere le parti più intime del nostro rapporto“. Un dolore che non scomparirà mai a cui si contrappone “un silenzio e un terribile senso di abbandono da fuori”. Numerose le manifestazioni in memoria del giornalista in tutta la Regione, cordoglio speciale da parte delle redazioni siciliane e delle associazioni di categoria.

Nella sua carriera Alfano iniziò come professore ma ben presto si dedicò alla sua passione per la politica e per il giornalismo d’inchiesta. Professione in cui era particolarmente dotato, facendo presto emergere una serie di scandali legati a cosa nostra. Le cronache e le indiscrezioni dietro le quinte raccontano di numerosi tentativi di corruzione nei suoi confronti, sempre puntualmente rifiutati, finché l’ultima minaccia del novembre 1992 non si rivelò poi reale. Nel 2006 furono condannati per il suo omicidio Nino Merlino e il bosso Giuseppe Gullotti, nel 2022 il Tribunale di Messina aveva respinto il ricorso presentato dagli imputati.