La prevista riforma sulla cosiddetta autonomia differenziata va avanti. La scorsa settimana il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli, della Lega, ha presentato al governo il suo disegno di legge che, nelle intenzioni dei proponenti, dovrebbe essere votato in Parlamento entro fine mese. È una proposta di cui si parla da anni, derivata dalla riforma della Costituzione del 2001 secondo cui tutte le regioni a statuto ordinario possono chiedere allo Stato competenza esclusiva su 23 materie. I modi in cui questa autonomia può attuarsi, tuttavia, sono molti, e quello scelto da Calderoli è stato criticato e contestato soprattutto da studiosi, dall’opposizione e da molti rappresentanti locali delle regioni del Sud. Il testo trasmesso alla presidenza del Consiglio per Calderoli riprende le indicazioni delle Regioni e le “riflessioni nate dal primo confronto in Parlamento e con gli altri interlocutori”. La speranza del ministro leghista è che la legge possa uscire dal Consiglio dei ministri con approvazione preliminare e quindi venga mandata in Conferenza unificata nel mese di gennaio e che per gennaio possa essere approvata come proposta di legge, per poi essere discussa dal Parlamento.

Riforma sull’autonomia: i dubbi, le critiche e i livelli essenziali di prestazione da garantire in tutto il Paese. Cosa c’è da sapere

la parte più problematica del disegno di legge sull’autonomia riguarda “i livelli essenziali di prestazione che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (Lep), che secondo la Costituzione riguardano “i diritti civili e sociali” dei cittadini e delle cittadine. La loro entità andrebbe stabilita prima delle richieste di autonomia differenziata, così da sapere la quantità di risorse da erogare a ciascuna regione richiedente. E infatti la proposta di Calderoli dice che entro un anno dall’entrata in vigore della legge devono essere decisi i Lep con un Decreto del presidente del Consiglio (Dpcm).Se però l’anno dovesse scadere, dice la proposta di legge, il governo e le regioni potranno comunque formulare un’intesa, stabilendo il finanziamento sulla base della spesa storica di quella regione nello specifico ambito in cui viene richiesta l’autonomia. Anche se è una misura temporanea, questo punto è stato molto contestato perché avrebbe come conseguenza di assicurare più finanziamenti alle regioni del Nord, che dispongono di più risorse e hanno quindi una spesa storica più alta, e meno a quelle del Sud, dove di risorse ce ne sono meno e quindi la spesa storica è più bassa. In altre parole, finirebbe per accentuare il divario tra Nord e Sud, almeno finché non verranno decisi i livelli essenziali di prestazione. I livelli essenziali delle prestazioni puntano a essere una garanzia per le aree meno avanzate perché, come recita anche la nuova norma inserita nel testo della legge di bilancio, misurano “la soglia di spesa costituzionalmente necessaria per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale” oltre che per regolare i rapporti finanziari fra Stato e autonomie e “favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse collegate al Pnrr”. La Lega ci provò per due volte, prima con una riforma costituzionale nel 2005 e poi con una legge delega nel 2009, fallendo in entrambi i casi. Poi, quando nel 2013 divenne segretario federale Matteo Salvini, la Lega cambiò radicalmente approccio, assumendo una dimensione più nazionale e tralasciando le battaglie federaliste. Battaglie che però furono mantenute dalle varie articolazioni locali del partito, specialmente in Lombardia e in Veneto, che ora sono tornate a spingere affinché venga attuata una riforma che attendono da anni.

Le critiche dei sindaci del sud

Preoccupati i sindaci del Sud. Alcuni di loro, infatti, hanno inviato una lettera al capo dello Stato nella quale ringraziano il Presidente “per aver fatto riferimento, nel Suo discorso di fine anno, alla Costituzione e alle ingiustizie determinate dalle differenze tra i diversi territori del nostro Paese”. Di qui la richiesta “di suggerire alle forze politiche del nostro Paese di prevedere, come primo punto della loro agenda politica, misure che possano ridurre queste distanze”. Più di 100 primi cittadini hanno già deciso di inviare una mail al Quirinale con lo stesso testo, chiedendo di “sollecitare i partiti a intervenire su queste disparità anziché insistere su un progetto di autonomia differenziata che potrà soltanto acuirle“.