Vialli come sta? La famiglia ha chiesto all’ospedale di Londra, dove Gianluca Vialli è ricoverato, di non divulgare notizie sullo stato di salute dell’ex giocatore di Samp, Juve e Cremonese. Ma questo 2023 si è aperto con il vento della speranza.
Vialli come sta?
L’ex calciatore prosegue nella sua lotta contro il cancro al pancreas. Secondo alcune indiscrezioni raccolte dal Secolo XIX, le condizioni di Vialli sarebbero “stabili”. Tutti gli appassionati di calcio e non soltanto attendono buone notizie da Londra. Da quando è ricoverato alla clinica Royal Marsden Hospital di Londra, non sono mai usciti bollettini o comunicati ufficiali riguardo alle sue condizioni. Vialli pare aver trascorso in maniera decisamente serena e senza problemi le festività di Natale e Capodanno. Non è ancora chiaro quando potrà essere dimesso, ma di certo ci vorrà del tempo per riprendersi dopo quest’ultimo ciclo.
Cancro al pancreas Vialli: che cos’è e quanto è diffuso
Il pancreas è un organo ghiandolare situato in profondità nell’addome, tra lo stomaco e la colonna vertebrale ed è suddiviso in tre parti: la più grande viene chiamata “testa” ed è a stretto contatto con il duodeno, quella centrale “corpo”, e la parte più sottile, che si protrae fin verso la milza, è detta “coda”. Si tratta di un organo che produce diversi ormoni di una certa importanza, tra i quali l’insulina e il glucagone, che regolano i livelli di zucchero nel sangue, e vari enzimi, come la tripsina che, trasportati dai dotti pancreatici all’intestino, contribuiscono alla digestione e all’assorbimento dei nutrienti. Il tumore al pancreas si manifesta quando alcune cellule si moltiplicano al suo interno senza controllo. Ciò avviene più comunemente all’interno della testa o del collo del pancreas (75%), poi nel corpo (15-20%) e nella coda (5-10%). Nel 2020 sono stati stimate, in Italia, oltre 14 mila nuove diagnosi. Ad essere più a rischio sarebbero, in particolare, le persone comprese nella fascia d’età tra i 50 e gli 80 anni, soprattutto se fumatrici.
Tumore al pancreas sintomi, diagnosi e cura
In fase precoce purtroppo il cancro al pancreas non dà segni particolari e, anche quando sono presenti, si tratta comunque di disturbi abbastanza vaghi, che possono essere interpretati in modo errato sia dai pazienti che dagli stessi medici. Ciò rende la diagnosi complicata. Sintomi più chiari e visibili – variabili a seconda della zona del pancreas dove la malattia ha avuto origine (testa, corpo o coda) – compaiono infatti quando il cancro inizia a diffondersi agli organi vicini, bloccando in alcuni casi i dotti biliari e provocando quindi perdita di peso e appetito, ittero (colorazione gialla degli occhi e della pelle), dolore nella parte superiore dell’addome o alla schiena, debolezza, nausea e vomito.
Uno degli esami più moderni utilizzati per la diagnosi è la tomografia computerizzata, spirale o elicoidale, in grado di rilevare i tumori del pancreas e l’eventuale diffusione ai linfonodi, al fegato e ai dotti biliari. Altro esame importante è quello ecografico, sia esterno, dell’addome, sia interno, effettuato per via endoscopica attraverso lo stomaco e il duodeno. In presenza di ittero, è poi necessario controllare che i dotti biliari siano o meno ostruiti; a tale scopo, si ricorre, in genere, a tre tipologie di esami: la colangiopancreatografia retrograda endoscopica (ERCP), la colangiografia transepatica percutanea e la colangiorisonanza magnetica.
In una piccola percentuale di pazienti (il 20% circa, stando a quanto riportato dall’AIRC), per cui la diagnosi avviene precocemente, quando il tumore è ancora localizzato, si procede con l’asportazione chirurgica, con operazioni che variano a seconda delle caratteristiche del tumore e talvolta perfino letali (con mortalità fino al 10%); ma in molti casi, dal momento che, come si è già detto, l’identificazione della malattia avviene spesso in fase molto avanzata, quando il tumore si è diffuso, attaccando anche altri organi, i farmaci utilizzati puntano solo ad allungare le aspettative di vita dei pazienti e non per tutti sono risolutivi. Secondo la Fondazione Umberto Veronesi, al momento tre quarti dei malati andrebbe incontro a decesso entro un anno dalla diagnosi e a 5 anni dalla scoperta della malattia sarebbero vivi solo 8 pazienti su cento.