Un recente studio su un farmaco con acido ursodeossicolico ha fatto emergere importanti ed inattesi risultati come possibile forma di prevenzione di Covid-19.

La ricerca è stata condotta dagli scienziati dell’Università di Cambridge nel Regno Unito ed è stata pubblicata sulla rivista Nature lo scorso Dicembre.

Lo studio avrebbe dimostrato come un farmaco con acido ursodeossicolico (UDCA) già in commercio utilizzato per il trattamento dei calcoli nella bile e per una rara patologia epatica autoimmune possa essere una valida barriera contro lo sviluppo di ogni variante del virus Covid-19.

La pubblicazione dei risultati di questo studio ha avuto come immediato effetto l’aumento esponenziale di vendite in Cina di questo farmaco.

La scoperta è avvenuta in modo totalmente fortuito. Infatti lo studio, eseguito sotto la coordinazione del dottor Fotios Sampaziotis, ricercatore al Wellcome-MRC Cambridge Stem Cell Institute dell’Università di Cambridge e primario di epatologia all’Addenbrooke’s hospital, era finalizzato ad indagare alcuni meccanismi cellulari del fegato.

Covid prevenzione con acido ursodeossicolico: nel team di ricerca anche un’italiana

All’interno del team di ricerca troviamo anche una dottoranda italiana, Teresa Brevini. Proprio la nostra connazionale, analizzando organoidi di fegato vale a dire piccole strutture 3D cresciute in laboratorio per replicare la vita dell’organo, ha infatti fortuitamente individuato l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2) quello proprio usato dal virus Sars-CoV-2 per entrare nelle nostre cellule.

“Quando abbiamo realizzato di aver trovato un meccanismo per modulare ACE2, abbiamo capito di aver trovato qualcosa di importante per la lotta contro il Covid-19”.

La ricerca poi ha permesso di scoprire che la molecola FXR, presente in grandi quantità in questi organoidi del dotto biliare, gestisce in maniera diretta l’accesso virale. Questa molecola è poi risultata estremamente sensibile all’acido ursodesossicolico: questa componente infatti sembrerebbe capace di bloccare la sua attività e quindi impedire l’ingresso del coronavirus nelle cellule.

I risultati dell’utilizzo del farmaco UDCA sono stati poi convalidati in controlli eseguiti su “mini-polmoni” e “mini-intestini” creati sinteticamente in laboratorio e successivamente si è proceduto ai test sulle cavie animali che hanno dato successo contro l’esposizione al virus Sars-CoV-2.

A questo punto per accertarsi che i dati ottenuti potessero essere confermati dalla somministrazione umana, il gruppo di ricerca, con la collaborazione del professor Andrew Fisher dell’Università di Newcastle e del professor Chris Watson dell’ospedale di Addenbrooke, ha usato veri polmoni umani donati alla ricerca che sono stati mantenuti in vita fuori dall’organismo attraverso un apposito macchinario.

Il test ha mostrato come il polmone trattato con il farmaco abbia resistito all’infezione che invece si è propagata nell’altro polmone non protetto.

Boom di vendite in Cina

Come passo successivo il team di Cambridge ha reclutato otto volontari sani a cui è stato somministrato il farmaco e inoculato il virus Covid. I tamponi hanno dimostrato livelli di infezione inferiore a quelli attesi senza protezione terapeutica.

Tuttavia non è stato possibile estendere lo studio clinico su vasta scala e per questo motivo i ricercatori hanno esaminato i dati dei pazienti che stavano già assumendo UDCA per le loro condizioni epatiche confrontando con chi invece non riceve il farmaco. Ciò ha permesso di concludere che i soggetti che ricevevano l’UDCA avevano meno probabilità di sviluppare una grave infezione per il virus.

La notizia ha generato un boom di vendite in Cina, con alcuni medici che hanno iniziato a suggerire questo farmaco come arma preventiva in pazienti ad alto rischio. Ciò inevitabilmente ha generato un forte impatto economico con alcuni produttori cinesi di farmaci, come Xuantai Pharma e New China Pharma, che hanno ottenuto vertiginosi aumenti del valore delle loro azioni.

Gli autori della ricerca però hanno evidenziato che i risultati seppur incoraggianti non autorizzano al momento l’utilizzo del farmaco come sicura misura di prevenzione nei confronti del Covid-19 o come sostituto del vaccino.

Il dottor Gianni Sava, professore ordinario all’Università di Trieste ed esponente della Società italiana di farmacologia (Sif), infatti ammonisce contro facili esaltazioni. Al momento bisogna ancora comprendere quali siano le giuste dosi del farmaco, quanto duri il suo effetto e se possa o meno alterare l’assorbimento degli alimenti.