Pensioni, aumenti del 3% per chi esce nel 2023 e 2024: gli incrementi negli assegni previdenziali relativamente ai due anni di uscita sono determinati dalla speranza di vita, in calo nel biennio in corso, che fa aumentare il coefficiente di trasformazione. È la prima volta da quando è stato introdotto che questo meccanismo segnala coefficienti in aumento: solitamente ogni biennio (in precedenza l’aggiornamento avveniva ogni tre anni) aggiornava tutti gli indici al ribasso, con perdite dei futuri assegni di pensione per tutta la durata della quiescenza. I nuovi pensionati di quest’anno e del prossimo anno, invece, avranno una pensione più alta rispetto a chi è uscito nel 2021 e 2022 a parità di età di pensionamento: l’aumento durerà per tutta la durata della pensione in quanto il coefficiente aumenta al ridursi della speranza di vita e diminuisce all’aumentare dell’aspettativa.
Pensioni aumenti 2023-2024: ecco perché conviene lasciare il lavoro in questo biennio
Gli aumenti delle pensioni per chi lascia il lavoro nel 2023 o 2024 sono dettati dai coefficienti di trasformazione. Si tratta di indici che moltiplicano il montante dei contributi versati durante tutta la vita lavorativa per ottenere l’importo dell’assegno mensile. Questi indici sono diversificati a seconda dell’età di uscita: più si esce prima (come età) e minore è il coefficiente di rivalutazione di tutti i contributi versati. Per il biennio 2023-2024 la lista degli indici di uscita dai 56 ai 71 anni di età è stata rivalutata al rialzo: ciò si verifica perché è diminuita la speranza di vita calcolata dall’Istat dopo vari anni di continuo aumento. A causa della pandemia, infatti, l’aspettativa di vita si è accorciata di 1,2 anni. Di conseguenza, si godrà mediamente della pensione per un numero di anni inferiore rispetto a chi aveva una speranza di vita più alta: è questo il motivo per il quale i coefficienti di trasformazione sono in aumento. Lo stesso meccanismo è applicato anche per calcolare l’adeguamento dell’età di uscita per la pensione: attualmente la vecchiaia è fissata a 67 anni e lo sarà ancora per alcuni anni. Se non ci fosse stato un rallentamento e poi la pandemia che ha ridotto la speranza di vita, la pensione di vecchiaia sarebbe salita a 67 anni e tre mesi nel 2021 e 2022 e a 67 anni e 5 mesi nel biennio in corso. Il meccanismo previsto dalla Fornero si è “inceppato” proprio per la speranza di vita (l’adeguamento delle pensioni anticipate è avvenuto, invece, in virtù di una legge, il decreto 4/2019 che ha fissato i contributi a 42 anni e 10 mesi fino al 31 dicembre 2026).
Pensioni vecchiaia, anticipate, opzione donna, contributive e retributive: come avvengono gli aumenti
Sulla base dell’analisi degli indici di trasformazione, le pensioni di chi esce nel 2023 saranno mediamente più alte dal 2 al 3% rispetto a chi è uscito, alla stessa età, nel 2022. Ad esempio, un lavoratore che va in pensione nel 2023 all’età di 62 anni (potrebbe avvenire con la pensione anticipata o anche con la nuova quota 103) ha un coefficiente di trasformazione del 2,35% più alto rispetto al 62enne che è andato in pensione un anno fa. All’aumentare dell’età di uscita, aumenta anche il coefficiente di trasformazione: chi nel 2023 (o nel 2024) va in pensione a 65 anni di età, ha un assegno più elevato del 2,53%. Per chi si avvicina all’età di uscita di 70 anni, nella vita da pensionato avrà un mensile più alto di circa il 3% (il 2,90% esattamente) rispetto al 70enne che è andato in pensione nel 2021 o nel 2022. Il meccanismo di calcolo della pensione mediante i coefficienti di trasformazione interessa tutti i lavoratori del sistema contributivo puro (ovvero chi ha iniziato a lavorare in data successiva al 1° gennaio 1996) e i lavoratori del sistema misto (con meno di 18 anni di contributi prima della fine del 1995). Per i lavoratori del retributivo (almeno 18 anni di contributi entro il 31 dicembre 1995), questo meccanismo si applica solo nell’ipotesi in cui ci siano versamenti contributivi ulteriori a partire dal 2012, ovvero dall’anno di applicazione della riforma Fornero. Lo stesso meccanismo opera anche per le lavoratrici che vanno in pensione con opzione donna: il ricalcolo dei contributi per chi sceglie questo strumento di uscita, infatti, avviene utilizzando il sistema contributivo.