È stata scoperta un’attività illecita di trattamento dei defunti al cimitero Flaminio – Prima Porta di Roma, dove alcuni cadaveri venivano fatti a pezzi e poi spostati nell’ossario comune.
L’episodio è stato ripreso dalle telecamere installate dai carabinieri del nucleo radiomobile proprio all’interno del cimitero. Le immagini mostrano alcuni operai dell’azienda AMA, società che gestisce la raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, il compimento dei servizi cimiteriali e la nettezza urbana nel territorio della Capitale, all’atto di amputare i resti dei defunti una volta dissotterrati.
Le salme, ormai mummificate, venivano disseppellite e poi tagliate con coltelli, seghe, martelli ed altri attrezzi non consoni. I pezzi dei cadaveri venivano poi gettati nell’ossario comune. Il tutto era eseguito per coprire una più ampia truffa ai danni dei parenti dei defunti.
I primi accertamenti avrebbero evidenziato il coinvolgimento di una decina di dipendenti AMA e tre imprese funebri. Questi soggetti percepivano il pagamento da parte dei familiari dei defunti assicurando loro un trasferimento più economico dei resti dei defunti.
I dipendenti di AMA responsabili della truffa avrebbero infatti suggerito un’alternativa meno costosa ai familiari delle persone inumate dopo i trent’anni di sepoltura nel loculo previsti per legge. La normativa italiana infatti prevede che, trascorso questo periodo, i resti delle salme debbano essere cremati. Tale servizio ha un costo oltre i 1000 euro. Gli operai di AMA invece si proponevano di effettuare un’operazione simile senza tuttavia specificare le modalità ed i dettagli previo un compenso non superiore ai 300 euro. Ai parenti veniva poi consegnata un’urna colma di semplice terra, senza comunicare dove effettivamente venissero trasferiti i resti.
Se da un lato i truffatori incassavano le cifre senza sostenere l’onere di alcuna cremazione, dall’altro lato anche gli stessi familiari si potevano dire soddisfatti del notevole risparmio e non indagavano più di tanto sulle modalità di trattamento dei propri cari.
Le indagini sono iniziate a seguito della denuncia di una famiglia che, dopo avere ricevuto le finte ceneri del parente scomparso, era stata contattata dal personale del cimitero che la informava che “il parente defunto era ancora custodito all’interno del deposito cimiteriale, in attesa di essere cremato”.
I militari hanno dunque piazzato alcune telecamere per fare luce sul caso e avrebbero evidenziato l’attività illecita nei mesi di Gennaio e di Febbraio del 2020.
Roma cadaveri fatti a pezzi nel cimitero Prima Porta: le indagini
Gli accertamenti da parte dei Carabinieri hanno dimostrato che le salme disseppellite, mutilate e spostate senza alcuna autorizzazione appartenessero a persone decedute nella prima metà degli anni ’80.
Come ulteriore prova, negli atti depositati è stato trascritto anche il loro nome. Ulteriori indagini dovranno appurare se in alcuni casi il dissotterramento dei defunti e il loro trasferimento nell’ossario comune sia stato eseguito prima dei 30 anni previsti dalla legge, con l’obiettivo di ottenere spazio per le nuove sepolture e di conseguenza generare ricavi aggiuntivi.
In queste circostanze i documenti parlano di cadaveri mutilati una volta esumati in modo abusivo, “mediante la disarticolazione degli arti, poiché non avevano ancora raggiunto lo stato di mineralizzazione”, ovvero non ancora decomposti a sufficienza per essere trasferiti negli ossari.
Tutti i soggetti coinvolti dovranno comparire davanti al giudice. Si tratta complessivamente di 16 persone, comprendendo i dipendenti delle imprese funebri oltre ai lavoratori di AMA, tutti accusati di truffa e vilipendio di cadavere.
Gli inquirenti hanno infatti evidenziato uno schema ricorrente nell’attività illecita: i responsabili delle squadre dell’azienda comunale venivano informati dai titolari delle agenzie funebri su quali salme smembrare per poi spostare i resti negli ossari.
Da parte sua, l’azienda AMA si è costituita parte civile nei confronti degli ex dipendenti della società ai quali ha chiesto 500 mila euro di risarcimento danni. La grande richiesta di indennizzo è stata motivata dai dirigenti dell’azienda con il fatto che la grave condotta dei dipendenti ha procurato un notevole danno di immagine e generato perdite economiche dirette e indirette.