Mehdi Zare Ashkzari, questo il nome del 30enne che aumenta il numero di giovani vittime durante le manifestazioni in Iran da settembre a oggi. Nel suo passato anche un pezzo d’Italia, con una laurea conseguita in farmacia all’università di Bologna prima di tornare in patria nel 2020.

La notizia della sua morte viene data da un portavoce di Amnesty International, il quale racconta che Mehdi si trovava incarcerato da circa un mese in uno stato di coma. Ferite provocate dagli scontri con la polizia e con l’esercito, poi la detenzione dove le condizioni di salute sono drasticamente peggiorate. Poi il rilascio per non garantirgli assistenza sanitaria e il conseguente decesso.

Giovani vittime in Iran, la protesta anche dentro le carceri

Cresce il numero di giovani vittime durante la repressione in Iran, almeno quattro i decessi registrati negli ultimi giorni.

Oltre il 30enne con un trascorso universitario in Italia ci sono altri tre ragazzi che hanno perso la vita. Risulta da verificare la scomparsa di un ragazzo di 17 anni, Mehrdad Malek, il quale sarebbe rimasto ucciso lo scorso 5 dicembre mentre stava tornando a casa ad Ardaq, nella provincia di Qazvin, nell’auto di un amico. L’account Instagram che ha rilanciato l’indiscrezione, sostiene che la polizia stesse inseguendo l’auto e che, rimasta imbottigliata nel fango, sia ricorsa alle armi.

Risale a dopo Natale il video-suicidio di Mohammad Moradi, 38enne iraniano ma residente in Francia, a Lione, in cui ha spiegato i motivi del suo gesto. Lui, studente e cameriere in un ristorante, parla di “sacrificio compiuto a cuor leggero per mostrare quanto il nostro popolo abbia bisogna di aiuto”. Ha attaccato il regime di Raisi, “che inculca i fondamentalismi nella testa della gente”, ricordando che “sono morti tantissimi giovani, donne e persino bambini”. I sommozzatori hanno recuperato il suo cadavere non appena il video è stato pubblicato in rete ed è espressione di una ricerca di attenzione rivolta all’Occidente.

Infine, sarebbe tornato in libertà il giornalista e dissidente politico iraniano Keyvan Samimi, in carcere dal dicembre 2020 con l’accusa di aver cospirato alle spalle del suo Paese. Già in precedenza era stato rilasciato a causa delle sue condizioni di salute precarie, poi nuovamente accusato da aver partecipato alle proteste governative e dunque incarcerato. Anche dalla prigione di Semnan, dove era rinchiuso, ha scritto una lettera di sostegno al movimento di protesta giovanile.