Torna al centro della cronaca locale il gruppo filonazista Dodici Raggi (Do.Ra), una comunità militante con sede in provincia di Varese. Nel mirino la locandina che sponsorizza l’evento di Capodanno presso la nuova sede di Azzate.
Forti proteste da parte delle principali associazioni antifasciste: Memoria Antifascista e Anpi provinciale e regionale “chiedono con forza lo scioglimento di questa pericolosa setta tramite l’applicazione della legge Scelba-Mancino“, attuabile tramite intervento della Magistratura.
La prima, datata 1952, sanziona “chiunque promuova od organizzi la costituzione di un’associazione, di un movimento o di un gruppo che persegua finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista“.
La seconda, datata 1993, “condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista, che hanno lo scopo di incitare alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali“.
Comunità filonazista Do.Ra, i precedenti
La comunità filonazista Dodici Raggi (spesso abbreviato in Do.Ra) è uno dei due attivi sul nostro Paese insieme a “Veneto Fronte Skinheads”. La locandina incriminata ritrae quattro membri delle SS naziste che brindano con delle bottiglie di vino: sullo sfondo campeggia il sole nero simbolo di quel periodo buio. Il ramo antifascista li ha sempre etichettati come “coloro che celebrano il compleanno di Hitler“.
Il presidente dell’Anpi lombarda Cenati sottolinea che “sarebbe significativo celebrare il 75esimo anniversario della Costituzione repubblicana sciogliendo questa setta nazista, che compie oltraggio alla memoria di chi fu perseguitato“.
In passato la comunità Do.Ra aveva sede nel vicino comune di Sumirago, prima dello sgombero e del trasferimento ad Azzate, a pochi chilometri dal capoluogo. Il presidente Alessandro Limido, interpellato dalla stampa, difende il suo operato precisando che “si tratta di soldati e non di gerarchi” e ribadendo che “i militanti sono poco più di una trentina, un numero minuscolo“. Di conseguenza, non si capisce come mai “un simile clamore immotivato a ogni nostro evento”. Vicini agli ambienti no-vax durante la pandemia, di loro si ricordano le minacce al giornalista di Repubblica Paolo Berizzi e la profanazione del sacrario di San Martino, simbolo della Resistenza.