Il presidente dell’Iran Ebrahim Raisi conferma la linea dura governativa contro i “nemici”, a cui “non sarà mostrata alcuna misericordia o clemenza“. Per la prima volta dall’inizio delle manifestazioni di protesta per la morte di Mahsa Amini, che oggi arrivano al 100esimo giorno, il leader del regime torna a parlare in un evento pubblico chiarendo la tolleranza zero.

Poi, rincarando la dose, ha etichettato come “disturbo” quanto accaduto negli ultimi tre mesi, che hanno accentrato sul Paese l’attenzione mondiale portando anche alle prime esecuzioni pubbliche contro i manifestanti.

Iran, Raisi non commenta il brutale omicidio della 12enne nel Sud

Le braccia dell’Iran sono aperte a tutti coloro che sono stati ingannati“: non è ben chiaro a si riferisse il presidente Raisi con queste parole, mentre il Paese continua a fare i conti con una lunga scia di barbarie che non risparmia anche i civili più innocenti.

E’ questo il caso di Saha Etebari, la ragazzina di 12 anni rimasta uccisa da colpi d’arma da fuoco sparati dagli agenti di polizia contro l’auto su cui viaggiava insieme ai propri genitori (entrambi feriti ma vivi) nella provincia rurale dell’Hormozgan, Iran meridionale. Il comandante delle forze di polizia ha confermato la notizia dell’uccisione a Bbc Persia, aggiungendo in un rapido punto stampa che sul caso è stata aperta un’indagine per accertare le responsabilità.

Il corpo esanime di Saha Etebari si affianca a quello di altre 506 persone che hanno perso la vita da fine settembre a oggi, secondo l’agenzia di stampa iraniana degli attivisti per i diritti umani (Hrana). A loro si aggiunge l‘incredibile numero di persone arrestate, stimato in un range tra 14.000 e 16.000 unità.

Da Occidente arrivano richieste esplicite contro il regime di Teheran. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano Ned Price ha chiesto il rilascio immediato dei prigionieri anti-regime “che hanno esercitato in modo pacifico il diritto alla libertà” e invita la comunità internazionale a non lasciare senza voce “le coraggiose donne iraniane” nella loro lotta. Qualche settimana addietro l’Iran è stato formalmente espulso dalla Commissione Onu per la difesa dei diritti delle donne. Al coro si unisce anche Alicia Kearns, presidente della commissione per gli affari esteri del Regno Unito, la quale lancia un appello ai propri connazionali affinché lascino il Paese il quanto prima. Solo nella giornata di ieri, il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanani ha segnalato l’arresto di cittadini con doppia nazionalità, iraniana e britannica, mostrando anche un certo grado di compiacimento.

La vedova dell’ultimo Scià: “Chiamiamola rivoluzione, donne e giovani vinceranno”

Della situazione tumultuosa in Iran ha parlato anche Farah Diba Pahlavi, vedova dell’ultimo Scià di Persia (la Persia è l’altro nome con cui è conosciuto l’Iran nell’antichità), in un’intervista a Repubblica.

Secondo il suo parere, l’attuale generazione di giovani iraniani “sarà in grado di segnare l’epoca futura del Paese, poiché hanno sacrificato persino la loro esistenza. Secondo la vedova “tutto questo va concepito come una rivoluzione, che celebri il loro coraggio“, e si dice convinta che riusciranno nel loro intento di “rendere l’Iran un Paese più democratico, prospero e unito”

Sul ruolo delle donne, da cui è scaturita la protesta lo scorso 16 settembre, c’è un grande parallelo con la rivoluzione islamica del 1979, che segnò l’esilio in Egitto del compianto marito e la fine della dinastia degli Scià. Anche in quel caso migliaia di donne furono poste come agnello sacrificale, perdendo i diritti di basi e finendo completamente sottomesse al volere degli uomini. “Ma le donne iraniane sono forti e resistenti, e rimarranno in prima fila per liberare il Paese dal regime tirannico“.