Gli uomini del comando provinciale della Guardia di finanza di Varese, diretti dalla Procura di Busto Arsizio, stanno notificando in queste ore gli ultimi avvisi di chiusura delle indagini preliminari di un’istruttoria che ha consentito di ricostruire una maxi frode fiscale compiuta attraverso la costituzione di società “cartiere” con le quali gli indagati hanno emesso e ricevuto fatture per operazioni inesistenti coinvolgendo molteplici società attive principalmente nel territorio lombardo e piemontese.
Gli indagati, secondo l’accusa, avrebbero standardizzato una prassi contabile dove le fatture fittizie erano giustificative di bonifici bancari ricevuti dai propri ”clienti” a cui veniva restituito il denaro contante (corrispondente all’importo indicato nella fattura emessa) al netto di una provvigione variabile costituente il compenso per il servizio reso.
Il sodalizio, per mascherare il proprio operato reclutava numerosi prestanome posti formalmente a capo delle società, parte dello schema fraudolento.
Le indagini di polizia economico-finanziaria strutturate in analisi di tabulati telefonici, ricostruzioni bancarie, intercettazioni telefoniche e ambientali audio/video e con apparecchiature gps, pedinamenti, analisi di copiosissima documentazione contabile e amministrativa e verifiche fiscali hanno portato i militari delle Fiamme gialle a ricostruire il modus operandi del gruppo.
Un sistema che consentiva a società, attive ed operanti in vari settori merceologici, di conseguire indebiti e ingenti risparmi di natura fiscale deducendo costi e (spesso) detraendo Iva a credito, non spettanti, in quanto generati dall’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e permetteva anche a soggetti possessori di ingenti quantità di denaro contante, di dubbia provenienza, di ripulire il denaro reinserendolo nel circuito legale.
Varese maxi frode fiscale: fatture per 30 milioni di euro
Sono moltissime le aziende finite sotto la lente d’ingrandimento dei finanzieri che, dal 2017 al 2021, hanno beneficiato complessivamente di 30 milioni di euro di fatture per operazioni inesistenti oltre all’Iva indebitamente detratta per 4 milioni di euro.
Al termine delle attività investigative l’autorità giudiziaria, oltre ad una sentenza di condanna per patteggiamento nei confronti dei tre principali indagati, ha chiuso le indagini su ulteriori 23 persone, tra imprenditori, prestanome, un attivo faccendiere svizzero arrestato insieme ad altri due imprenditori nel 2021, residenti tra le province di Milano, Monza, Bologna, Bergamo, Brescia, Venezia e Parma, a seguito di un’indagine della Guardia di Finanza di Busto Arsizio, tutti per emissione e/o annotazione di fatture per operazioni inesistenti.
Sono state, anche, disposte specifiche misure cautelari reali come il sequestro preventivo di beni, denaro e altre utilità al fine di tutelare la successiva pretesa erariale, per un valore complessivo pari a circa 6 milioni di euro, nei confronti dei molteplici imprenditori indagati.
Le indagini di Dicembre
L’analisi della documentazione, sequestrata nel corso delle perquisizioni del 13 Dicembre scorso nelle sedi delle società utilizzatrici, ha confermato la vera natura, fittizia, dei rapporti commerciali ed ha permesso ai finanzieri di ricostruire l’effettivo ammontare degli importi passivi portati in deduzione, per gli anni 2018, 2019 e 2020, pari ad oltre 16 milioni di euro.
Tali costi artificiali e dunque illeciti avrebbero dunque generato risparmi d’imposta ai fini dell’imposta sui redditi e dell’Iva pari ad oltre 5,5 milioni di euro per tali società, operative nel settore del recupero e del commercio di metalli ferrosi.
Stando a quanto ricostruito attraverso una paziente attività di intercettazioni ambientali e telefoniche, gli inquirenti ritengono gli indagati fossero specializzati nella vendita di “pacchetti elusivi”. Ossia, avevano costituito imprese votate al nulla, senza neppure un prodotto o un servizio di facciata, nate solo per emettere fatture false a beneficio di aziende che volevano risparmiare sulle tasse e accantonare provviste illecite di denaro.
I sequestri preventivi eseguiti ora coinvolgono anche somme depositate sui conti correnti delle società, sui conti personali e su fondi pensione, denaro contante, quote societarie ed immobili nella disponibilità degli amministratori indagati.
Il Gip del Tribunale di Busto Arsizio, nel decreto di convalida dei sequestri, ha confermato che tali beni sono da ricondurre al profitto conseguito con la frode fiscale.