Flat tax 15%, quanto risparmiano le partite Iva adottando il regime forfettario di tassazione fino a 85.000 euro di ricavi all’anno che il governo guidato da Giorgia Meloni ha inserito e potenziato nella legge di Bilancio 2023. L’analisi è stata condotta dal Centro Studi dell’Università Cattolica e analizza l’impatto dell’aliquota fissa del 15% sui compensi degli autonomi nel nuovo anno. La misura si inserisce nella tendenza che i ricercatori della Cattolica hanno individuato nei regimi di tassazione, ovvero che “negli ultimi decenni il progressivo svuotamento dell’Irpef ha rappresentato una tendenza costante. Una quota sempre più ampia di redditi – si legge nel rapporto – è stata assoggettata ad una tassazione cedolare più vantaggiosa dell’imposta progressiva”. La tendenza è confermata dalla misura di flat tax al 15% in quanto sottrae parte dei redditi dei lavoratori con partita Iva alla progressività della tassazione, ponendo problematiche sia sull’Irpef che sull’Iva, dal momento che le partite Iva a regime forfettario sono esonerate dal pagamento di questa imposta.
Flat tax 15% quanto risparmiano partite Iva: convenienza sia sui dipendenti che sul regime ordinario
Secondo le analisi del Centro Studi, con la flat tax al 15% e il limite di ricavi a 85000 euro, un elettricista con partita Iva a regime forfettario arriverebbe a pagare in meno 6.500 euro in un anno rispetto a un elettricista assunto da un’azienda con un contratto alle dipendenze. Il reddito a fine anno, decurtato di tutte le imposte e i contributi, sarebbe maggiore nell’autonomo di circa 10mila euro rispetto al dipendente. Alla medesima conclusione arriva l’Osservatorio nel quantificare quanto si risparmia con la partita Iva a regime forfettario del 15% nel caso di un informatico. Un consulente autonomo arriverebbe a risparmiare 3.600 euro di imposte rispetto all’informatico assunto da un’azienda, ottenendo un reddito a fine anno di circa 5.500 euro maggiore, al netto delle imposte e dei contributi. In qualche modo, l’informatico o l’elettricista con partita Iva, come le altre professioni autonome, tendono a compensare il maggiore reddito con il rischio d’impresa che non ha il dipendente, protetto anche dalle coperture assicurative. Inoltre, come si vede dalle informazioni dei ricercatori della Cattolica, l’introduzione del regime di flat tax porterebbe vantaggi considerevoli anche alle partite Iva a regime ordinario nel passaggio a quello forfettario. Considerando i costi scaricabili del regime ordinario, il passaggio non genererebbe convenienza solo per i redditi bassi, per un volume di compensi fino a circa 20mila euro all’anno. Ma la forbice si allarga, a favore del forfettario, a circa 40mila euro di reddito con un risparmio di tassazione pari a 2.000 euro circa, con aumenti a 4.000 euro per livelli di compensi e ricavi di 50.000 euro e a 6.000 euro in corrispondenza di ricavi annuali per 60.000 euro. In linea con il tetto massimo di ricavi della flat tax (85000 euro), il maggior risparmio per un forfettario rispetto a una partita Iva a regime ordinario si aggira su oltre 8.500 euro.
Risparmi fiscali del forfettario e sistemi di equità rispetto ai lavoratori dipendenti
Tuttavia, secondo il Centro Studi, la differenza di tassazione non giustificherebbe il divario di reddito a fine anno, troppo eccessivo per il dipendente. L”introduzione di un sistema di flat tax al 15%, inoltre, potrebbe risultare vantaggiosa per i lavoratori con partita Iva a regime forfettario a tal punto da produrre altre distorsioni sul mercato del lavoro. In primo luogo, andando a intaccare la solidità della forma di impresa, considerata più efficienze grazie alle economie di scala e le sinergie, rispetto ai lavoratori autonomi che agiscono singolarmente. Inoltre, l’allargarsi di un regime di vantaggio fiscale come la flat tax potrebbe incentivare le aziende a optare per le collaborazioni con lavoratori autonomi piuttosto che attivare rapporti di lavoro alle dipendenze, alimentando quello che può considerarsi come il fenomeno delle “finte partite Iva”. L’analisi dello studio da parte di Itinerari Previdenziali porta anche ad altre considerazioni di equità sociale, con risvolti sull’evasione del Fisco che un simile sistema adottato dal governo nella Manovra 2023 potrebbe alimentare. Infatti, su 59,641 milioni di abitanti, nel 2020 hanno presentato la dichiarazione dei redditi solo 30,327 milioni di cittadini. Ciò significa che circa la metà della popolazione (il 49,15%) ha redditi, mentre l’altra metà vive a carico di qualcuno. Seppure il dato di chi non ha presentato la dichiarazione dei redditi è in leggera diminuzione rispetto al 2019, la situazione è atipica per un Paese, l’Italia, che fa parte del G7.