In Iran le proteste di piazza non accennano a fermarsi e non mancano personalità di spicco che sono state arrestate e attualmente detenute. Tra queste si trova Narges Mohammadi, tra le più importanti attiviste per i diritti umani in Iran, che ha dato voce (grazie alla BBC) alla condizione femminile nelle carceri del paese. L’appello è quello di non essere dimenticati e mantenere costantemente alta l’attenzione del mondo su quello che sta accedendo nel territorio.
La donna racconta di sistematici abusi sessuali e fisici, resi ancora più violenti e continui in conseguenza alle proteste che negli ultimi mesi stanno mettendo a dura prova il paese. Non è esente da questi trattamenti anche la prigione in cui si ritrova l’attivista, quella di Evin. Una delle detenute è stata legata mani e piedi al tetto del veicolo che l’ha condotta in carcere ed in seguito è stata violentata, a turno, dagli agenti adibiti alla sicurezza della prigione. Non sono mancati gli appelli da parte di Mohammadi per denunciare quanto accaduto, vi è però il rischio concreto che le famiglie della prigioniera possano ricevere minacce ed intimidazioni.
Proteste Iran, le voci dal carcere di Evin: “Non rivelare questi crimini contribuirebbe al proseguimento”
L’attivista si trova ora detenuta in carcere con l’accusa di diffusione di propaganda, subisce però periodiche condanne da almeno un decennio (la prima del 2011) in relazione alla sua attività di difesa dei diritti umani. Le parole di Mohammadi direttamente dalla prigionia:
“Non rivelare questi crimini contribuirebbe al proseguimento dell’applicazione di questi metodi repressivi contro le donne. Le violenze contro le donne attiviste, combattenti e manifestanti in Iran dovrebbero essere riportate ampiamente e con forza a livello globale. Le donne coraggiose, resilienti e piene di speranza vinceranno. Vittoria significa instaurare la democrazia, la pace e i diritti umani e porre fine alla tirannia.”
Le proteste e la manifestazioni scatenate dalla morte di Mahsa Amini risalente al 16 settembre scorso sono più attive che mai e coinvolgono in maniera trasversale gran parte della popolazione civile, soprattutto le generazioni più giovani. A rischiare la pena capitale sono tanti, molti dei quali anche minorenni secondo quando riportato dalla CNN. Sembrano essere almeno una trentina le persone punibili con la morte ma il numero reale è destinato a salire notevolmente ed include personaggi anche celebri nello Stato, come il campione di karate curdo-iraniano Mohammad Mehdi Karami. Le violenze e le torture sono all’ordine del giorno e sembrerebbero essere queste le cause del tentato suicidio del rapper curdo-iraniano Saman Yasin. Non sempre le famiglie dei detenuti riconoscono pubblicamente di avere amici o parenti a rischio pena di morte per timore di ritorsioni, la voce delle personalità di spicco però riesce a risuonare grazie ad altri attivisti che si occupano di portare avanti le loro battaglie.