Si conclude con un patteggiamento dal valore di 725 milioni di dollari lo scandalo Cambridge Analytica che ha coinvolto Facebook (oggi Meta) negli ultimi quattro anni. Una decisione storica che sancisce un doppio record nel settore: il valore più alto mai registrato in una class action sulla violazione della privacy e la multa più alta mai pagata dal colosso tech di Mark Zuckerberg.

Sentenza storica e caso non ancora del tutto chiuso

Comunque sia, il caso Cambridge Analytica non può ancora dirsi concluso per Meta, sebbene quanto accaduto nelle ultime ore rappresenti un passo in avanti di non poco conto. L’accordo dovrà essere approvato da un giudice federale di San Francisco, ma soprattutto rimangono ancora pendenti alcune azioni collettive intentate dal procuratore generale di Washington DC.

Secondo gli esperti, il compromesso dettato dal patteggiamento soddisfa tutte le parti in gioco: da un lato i querelanti, che sono riusciti a strappare un risarcimento multimilionario da record, dall’altro anche la stessa Meta, che avrebbe dovuto fronteggiare un processo lungo e laborioso (in cui sarebbero stati chiamati a deporre tutti i vertici aziendali, Zuckerberg incluso) con la prospettiva di perdere la causa (Meta rischiava di essere incriminata per violazione di diverse leggi federali) e dover sborsare molto più di quanto pattuito. Gli avvocati dei consumatori avrebbero infatti incentrato la strategia dell’accusa sui registri interni dell’azienda, dimostrando che la compagnia non aveva fatto nulla per salvaguardare i dati sensibili degli utenti.

Facebook aveva sostenuto come linea difensiva (apparsa debole sin dalle prime battute) di aver rivelato le sue pratiche di tracciamento con gli utenti tramite appositi banner informativi. Aveva anche affermato che chiunque condivida le proprie informazioni su un social network dovrebbe essere consapevole di esporre la propria privacy. La società non ha pubblicato un comunicato ma ha riferito la sua posizione tramite i propri legali, i quali hanno affermato che “l’accordo va nel migliore interesse della nostra comunità e degli azionisti. Prosegue il nostro impegno per il mantenimento della privacy: negli ultimi tre anni abbiamo rinnovato il nostro approccio e implementato un programma completo“.

Meta aveva dichiarato nell’ultima udienza lo scorso agosto di aver accettato di risolvere la causa di Cambridge Analytica a qualunque costo. Si tratta inoltre della seconda sanzione in due mesi per il colosso tech, multato precedentemente con un’ammenda da 90 milioni di dollari per pratiche scorrette sull’uso dei cookie nel browser e del pulsante “Mi piace” di Facebook per tracciare l’attività dell’utente. Un nuovo segnale che conferma il cambiamento in atto sulle politiche di tracciamento da parte delle aziende della Silicon Valley, in un 2022 costellato da simili provvedimenti.

Scandalo Cambridge Analytica, il pasticcio di Meta

Scandalo Cambridge Analytica, le varie tappe della vicenda.

Nel 2018 l’ex dipendente di Cambridge Analytica, società di ricerca inglese, Christopher Wylie denuncia le pratiche scorrette dell’azienda. In breve, la compagnia avrebbe analizzato in maniera illegale i dati di 87 milioni di utenti Facebook a fini di profilazione personalizzata. Ciò era stato possibile tramite un accordo con il social network per diffondere il sondaggio “This is Your Digital Life”, di cui poi erano stati raccolti i dati.

Di fatto a partire dal questionario, Cambridge Analytica ha costruito un database estremamente targettizzato che ha poi sfruttato per diffondere messaggi pubblicitari ai singoli utenti. Nello specifico, l’accusa ha messo nel mirino due eventi politici significativi: le elezioni presidenziali americane del 2016 e la Brexit. Facebook acconsentì tacitamente a fare in modo che questa quantità immensa di dati uscisse dai propri sistemi, violando così le regole interne.