Femminicidio Miglianico: si è suicidato nel carcere di Lanciano Giovanni Carbone, il 39enne originario di Matera che lo scorso lunedì era stato sottoposto a fermo dopo aver confessato di aver ucciso la compagna Eliana Maiori Caratella a Chieti con un colpo di pistola. Secondo quanto confermato da fonti sanitarie e carcerarie, l’uomo si sarebbe impiccato nella sua cella. Il suo fermo era stato convalidato ieri, 22 dicembre, dal gip del Tribunale di Chieti, Luca De Ninis.
Femminicidio Miglianico: morto suicida in carcere l’assassino
Tutto è iniziato lo scorso 19 dicembre, quando l’uomo si è presentato spontaneamente alla caserma dei carabinieri dopo aver freddato con un colpo di pistola la sua compagna, Eliana Maiori Caratella, di anni 41, sorprendendola mentre si preparava per andare a lavoro, dopo l’uscita dei suoi due bambini, entrambi avuti da un precedente matrimonio, poi finito. Sottoposto a fermo con l’accusa di omicidio volontario aggravato, il 39enne originario di Matera, Giovanni Carbone, è stato poi condotto dagli inquirenti nel carcere di Lanciano, dove ora sarebbe morto per impiccaggione.
Il fermo dell’uomo era stato convalidato proprio nella giornata di ieri, 22 dicembre, dal gip del Tribunale di Chieti, Luca De Ninis. Nel corso dell’udienza, avvenuta in video conferenza, alla presenza del legale di fiducia dell’imputato, l’avvocato Franca Zuccarini, Carbone aveva dato la sua versione dei fatti su quanto accaduto nella mattinata del 19 dicembre. “L’ho uccisa per liberare entrambi da questa sofferenza – avrebbe confessato l’uomo -, non ce la facevamo più a sopportare questa situazione. Ho sbagliato, io la dovevo prendere e ce ne dovevamo andare, per vivere la nostra vita altrove”.
I due si erano conosciuti due anni fa e da poco avevano deciso di iniziare una nuova vita insieme a casa della donna, originaria di Francavilla al Mare. Secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti, Carbone avrebbe pensato ad un omicidio-suicidio per liberarsi dalla situazione di conflittualità che la donna aveva con l’ex marito, fra reciproche denunce e tensioni; ma, dopo aver ucciso Eliana, non avrebbe trovato il coraggio di compiere lo stesso gesto su sé stesso, almeno non fino a ieri. Nella confessione il 39enne aveva anche raccontato di aver acquistato la pistola, una Beretta calibro 9 trovata nella tasca del giaccone dell’uomo, la cui detenzione ha fatto scattare l’aggravante, per difesa personale e non per commettere l’omicidio e che non aveva intenzione di fuggire.
“Ho preparato un paio di bagagli perché sapevo che una volta costituito mi avrebbero arrestato e non sarei più tornato a casa”. Queste le parole dell’uomo, che aveva fatto sapere di non aver avuto problemi con Eliana fino allo scorso 14 dicembre, quando insieme i due si erano recati in Tribunale per una duplice udienza: la prima relativa alla separazione della donna dal marito, la seconda dinanzi al Gip per discutere l’opposizione a una richiesta di archiviazione in seguito a una denuncia per esercizio arbitrario delle proprie ragioni. L’ostilità manifestata dal marito della vittima avrebbe generato “una serie di sofferenze” che avrebbero poi portato all’estremo gesto.
Ma sembra che l’uomo avesse anche dei precedenti e avesse minacciato Eliana con un’arma da fuoco solo un anno fa: lei aveva deciso di denunciarlo, ma non ci sarebbero state conseguenze. “Mi chiedo come mai l’uomo continuasse a detenere l’arma nonostante, come apparso su alcuni organi di stampa, avesse vari precedenti penali – ha dichiarato l’avvocato Maria Franca D’Agostino, presidente della Commissione pari opportunità della Regione Abruzzo -, aveva forse un regolare porto d’armi e se è così, come mai a seguito della denuncia questo non era stato revocato?”. “Una cosa è certa – ha proseguito il legale – ha fallito ancora una volta lo Stato”. Anche il suicidio in carcere sembra confermarlo.