A Caltagirone in provincia di Catania sono state condannate 39 persone, per un totale di 80 anni di reclusione, per il processo nato durante la processione del Venerdì Santo del 25 Marzo del 2016 a San Michele di Ganzaria che ha visto “l’inchino” del Cristo morto davanti a casa del boss Francesco La Rocca.
Gli imputati avevano infatti, deviato per tre volte il percorso della processione per passare davanti alla casa del boss mafioso di Cosa Nostra.
I reati contestati sono turbamento di funzioni religiose e istigazione a delinquere e a 30 imputati è stata contestata anche l’aggravante mafiosa.
Il tribunale di Caltagirone, dopo anni di indagini ha condannato a sei mesi ciascuno di reclusione dodici imputati, disponendo la sospensione della pena. Ha comminato due anni e sette mesi di reclusione per altri undici imputati, due anni e nove mesi per otto e tre anni per altri otto.
Sono stati invece assolti, con la formula perché il fatto non costituisce reato, accogliendo anche la richiesta del Pm Giuseppe Sturiale della Dda di Catania, Francesco Pullara, difeso dall’avvocato Roberto Cavevaro, Simone Franchino e Gaetano La Rocca, figlio di un fratello del boss ergastolano Francesco che era detenuto al 41bis difesi dai penalisti Luca Fosco e Daniele Guzzetta.
Un altro nipote del capomafia, Salvatore La Rocca, figlio di un altro fratello del boss, è stato condannato a due anni e nove mesi di reclusione. Il tribunale ha disposto anche il risarcimento spese al Comune di Santa Maria di Ganzaria che si era costituito parte civile nel procedimento.
Catania “inchino” davanti alla casa del boss: l’accusa
Secondo l’accusa, sostenuta in aula dalla Dda di Catania e basata su indagini e video girati dai carabinieri della stazione di Santa Maria di Ganzaria e della compagnia di Caltagirone, il fercolo del Venerdì Santo del 25 marzo del 2016, sarebbe stato costretto a cambiare il percorso previsto dalla processione facendolo “fermare davanti l’abitazione di Francesco La Rocca, consentendo alla moglie, che attendeva la sosta di render omaggio al simulacro del Cristo morto”.
Alcuni dei portatori avrebbero atteso l’uscita di casa della donna e avrebbero “inneggiato” al capo clan La Rocca. Il boss ergastolano Francesco detto ”Ciccio” La Rocca era finito in manette nel 2005 nel corso del maxi blitz Dionisio intercettato dai Ros in diversi summit con Alfio Mirabile. Lo “zio Ciccio” parlava di affari, appalti, estorsioni, era “il regista” di una serie di attività illecite che avevano spostato il baricentro della cupola catanese proprio nelle campagne calatine.
È morto poi nel Dicembre del 2020 all’età di 82 anni nel Policlinico di Bari. Era inoltre molto legato alla famiglia Santapaola, durante la sua attività criminale avrebbe ospitato anche Bernardo Provenzano in un periodo della latitanza del capomafia palermitano.
Le parole dell’arcivescovo
L’arcivescovo metropolita di Catania, mons. Luigi Renna ha “accolto la sentenza con soddisfazione” e ha dichiarato:
“Dio è dalla parte delle vittime e non certo dei mafiosi, che sono uomini violenti e spietati che calpestano e uccidono, auspico che questa sentenza diventi esemplare perché mai più accadano cose del genere”.
All’epoca dei fatti anche il procuratore di Caltagirone, Giuseppe Verzera commentò la vicenda così:
“Quello che è accaduto a San Michele di Ganzaria è un fatto di una inaudita gravità”.
Secondo la ricostruzione dei militari dell’Arma, quel giorno la bara si è staccata dal corteo principale, dove sono rimasti in forte dissenso con la deviazione, il sindaco, il parroco e il comandante della stazione dei carabinieri; la sosta sarebbe durata mezz’ora nella zona dell’abitazione dei La Rocca, tra lunghi applausi.
Secondo i “tradizionalisti” il corteo avrebbe rispettato il percorso storico che la chiesa aveva per la prima volta modificato, per gli investigatori è invece, stato fatto un omaggio al boss.