Ragazzo torturato e ridotto in fin di vita per vendetta a Catanzaro, dove quattro suoi coetanei sono stati ora arrestati con accuse, a vario titolo, di tortura, lesioni personali aggravate, sequestro di persona, violenza privata, detenzione illegale di arma comune da sparo e rapina, tutti reati aggravati dall’utilizzo del metodo mafioso. I provvedimenti, emessi dal Gip su richiesta della Dda di Catanzaro, sono stati eseguiti dalla Squadra mobile del capoluogo.
Ragazzo torturato e ridotto in fin di vita a Catanzaro
Hanno sequestrato e torturato un coetaneo, loro conoscente, procurandogli ferite che lo hanno messo in pericolo di vita, ritenendolo colpevole di aver avuto una relazione con la compagna di uno di loro: questo il motivo per cui 4 ragazzi sono stati adesso arrestati dalla Polizia a Catanzaro con accuse, a vario titolo, di tortura, lesioni personali aggravate, sequestro di persona, violenza privata, detenzione illegale di arma comune da sparo e rapina, tutti reati aggravati dall’utilizzo del metodo mafioso. Secondo quanto emerso finora dalle indagini, l’aggressione sarebbe avvenuta in due fasi, nelle giornate del 26 e 27 ottobre scorsi, nel quartiere nord della cittadina calabrese.
Sulla base degli elementi indiaziari acquisiti, sembra che la vittima avesse con i suoi aggressori una frequentazione di lunga data: il ragazzo, di cui non sono note l’età e il nome, sarebbe stato accusato di aver avuto una relazione con la compagna di uno di loro ed inizialmente sottoposto ad un lungo e violento interrogatorio in località Cavaglioti, venendo malmenato e minacciato con una pistola. Il giorno successivo, portato sempre nello stesso luogo, sarebbe stato vittima di sevizie fisiche, riportando lesioni gravi e rischiando di morire. Sembra inoltre che i quattro ragazzi fermati abbiano anche minacciato alcuni familiari della vittima affinché non sporgessero denuncia.
In cosa consiste l’aggravante del “metodo mafioso”
L’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui si parla all’articolo 416 bis del Codice penale, ricorre quando l’azione incriminata posta in essere crei nella vittima una condizione di assoggettamento e di omertà, non necessariamente da parte di persone contigue ad associazioni mafiose. È quanto previsto da una sentenza della Corte di Cassazione, datata 21 febbraio 2022, che ha stabilito che la struttura della circostanza aggravante non presuppone necessariamente l’esistenza di un’associazione di tipo mafioso, né che l’agente ne faccia parte, essendo sufficiente, ai fini della sua configurazione, il ricorso a modalità di condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso.
Ne deriva che la volontà non è solo quella di punire con pena più grave coloro che commettono reati utilizzando metodi mafiosi o con il fine di agevolare le associazioni mafiose, ma anche quella di contrastare in maniera più decisa, stante la loro maggiore pericolosità e determinazione criminosa, l’atteggiamento di coloro che, siano essi partecipi o meno in reati associativi, si comportino da mafiosi, oppure ostentino in maniera evidente e provocatoria una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione e quella conseguente intimidazione che rendono il reato più facilmente eseguibile.