Botte al figlio omosessuale, condannata una coppia di genitori di Milano. Stando a quanto riportato dall’edizione milanese del Corriere della Sera, il ragazzo aveva deciso di aprirsi con i suoi genitori, dichiarando loro la propria omosessualità e aspettandosi in cambio del supporto dopo anni di vessazioni da parte dei suoi coetanei; da loro avrebbe invece ricevuto solo botte e insulti. I genitori, di origini egiziane, sono stati ora condannati dal Tribunale di Milano con l’aggravante di aver agito “con fini di discriminazione” per motivi sessuali e di genere.
Botte al figlio omosessuale: coppia condannata con l’aggravante “discriminazione”
Dai suoi genitori sperava di ricevere appoggio e ha invece ottenuto botte e insulti: è quanto accaduto a un ragazzo di 15 anni di origini egiziane, residente nella città di Milano che, dopo aver dichiarato alla sua famiglia di essere omosessuale, è stato aggredito fisicamente dal padre e insultato dalla madre. I due sono stati ora condannati dal Tribunale di Milano per lesioni personali (l’uomo) e per omissione di soccorso e concorso omissivo nelle lesioni (la donna), con la rara aggravante di aver agito con “fini di discriminazione” per motivi di orientamento sessuale o identità di genere.
Dopo aver vissuto per tanto tempo il disagio di non riuscire ad aprirsi con la propria famiglia – perseguitato dai bulli a scuola e senza amici -, il ragazzo, che in passato aveva compiuto atti autolesionistici come tagliarsi la pelle sulle spalle o ingerire sostanze tossiche, forse nel tentativo di togliersi la vita, aveva deciso di rivelare il proprio orientamento sessuale ai genitori. Lo aveva fatto su Whatsapp, attraverso un gruppo creato per l’occasione, in cui aveva inserito anche i numeri di telefono della madre e del padre, condividendo poi un filmato su un ragazzo arabo omosessuale, sotto il quale aveva scritto “anche io sono gay”.
Ma, tornato a casa, invece di ricevere supporto, era stato rimproverato duramente dalla madre – secondo la quale nessun musulmano si sarebbe mai comportato come lui, visto che il Corano vieterebbe di legarsi a persone dello stesso sesso – e che gli aveva intimato di dover lasciare la scuola, ritenuta colpevole dei suoi comportamenti; poi, al ritorno a casa del padre, era stato aggredito violentemente e insultato. “Vuoi sposarti con un uomo? Allora tirati giù i pantaloni che ti…”, gli avrebbe urlato, mentre la madre riempiva una valigia con i libri di scuola da buttare nell’immondizia.
Per il giudice Luca Milani, che ha accolto la richiesta del pm Antonio Cristillo, “è fondata la contestazione dell’aggravante della discriminazione legata all’orientamento sessuale”, perché “l’aggressione perpetrata dal padre è stata nitidamente ispirata da sentimenti di odio verso l’autonomia manifestata dal minore sulle proprie scelte di genere”. E la madre, “nella propria posizione di garanzia, appunto in quanto madre, aveva l’obbligo giuridico di impedire le lesioni” e invece “nulla ha fatto”. I due sono stati ora condannati dal Tribunale di Milano e dovranno scontare, rispettivamente, 2 anni e 1 anno di carcere, oltre a versare una quota di 10mila euro di provvisionale sui danni non patrimoniali al figlio.
Che cosa prevede il Codice penale
L’aggravante per le discriminazioni fondate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale e l’identità di genere (oltre che sulla disabilità) è stata introdotta agli articoli 604-bis e 604-ter del Codice penale per ampliare l’ambito di applicazione dei delitti contro l’uguaglianza e punisce, con multe e/o misure detentive, tutti coloro che siano ritenuti colpevoli di aver istigato a commettere o di aver commesso atti di discrimazione, di provocazione e violenza per tali motivi.