Che cos’è il MES? Ritorna in auge una domanda che ha sempre rimbalzato nella politica italiana. Specialmente negli ultimi due anni. Durante la pandemia, infatti, l’Europa ha aperto una linea del Mes relativa alla copertura delle spese sanitarie che i paesi, inevitabilmente, avrebbero dovuto affrontare. L’allora Premier Giueppe Conte firmò il patto e, pur non avendolo ratificato, subì molte critiche specialmente dal centrodestra. Era il periodo iniziale del lockdown e le parole di Conte in diretta Facebook tuonavano nell’Italia tutta: “Questo governo non lavora con il favore delle tenebre”. La contrarietà al MES trova motivo nell’ancestrale euroscetticismo di parte della nostra politica. Ed il timore, più specificatamente, che avere soldi dall’Europa vuol dire ritrovarsi eternamente in debito. Il MES, quindi, visto come un cappio al collo. Ma ora a governare è proprio quel centrodestra e, dinanzi alla possibilità di ratificarlo, non ci sono state esclusioni aprioristiche. Anzi, il Ministro dell’Economia Giorgetti ha detto di voler parlamentarizzare la questione: deciderà la sovranità del Parlamento. Ma quindi, di cosa stiamo parlando?

Che cos’è il MES: la spiegazione

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (meglio noto come MES) è uno strumento intergovernativo dei paesi che condividono l’euro come moneta e che serve ad aiutare loro nel momento in cui, per qualsiasi motivo, si trovano in difficoltà economica. Immaginiamo un grande salvadanaio dove tutti mettono una quota e dove, chiunque, può attingere nel momento in cui si trovi ad affrontare una situazione particolarmente critica. È una sorta di fondo comune, un oggetto emblema del comunitarismo a cui si ispira l’Europa quale istituzione. Un prestatore di denaro a cui ricorrere in extrema ratio.

La dotazione del MES è di 80 miliardi e vi si può accedere attraverso due linee di credito alternative: Pccl, aperta ai paesi virtuosi in linea con il patto di stabilità; Eccl, stati meno diligenti che vengono chiamati ad adottare politiche di asuterity come placet di accesso al MES. Questo lo rende uno strumento soggetto a pro e contro: se alcuni stati come Cipro e la Grecia si sono ripresi proprio grazie al MES, è vero anche che le politiche di asuterity costano molto caro in termini di tagli alla spesa pubblica. Ecco perché la politica, anche quella italiana, si divide.

Il MES è poi stato riformato, su richiesta degli stati più in difficoltà, affinché diventasse meno restrittivo. Parte delle richieste sono state accolte ma comunque ammortizzate da una linea di modifica che conferisce maggiore potere al board direttivo del MES il quale può – fatte valutazioni – bloccare l’attivazione del MES o chiedere delle modifiche.

La situazione

Partiamo dal 2018, quando ha preso corpo l’iter di riforma del MES. L’allora governo Conte I si era arenato su posizioni totalmente contrarie allo strumento. Conte ha dovuto ripiegare, pur restando contrario, nel suo secondo governo per via dell’opinione favorevole del Pd. Il Conte II ha buttato palla avanti il più possibile, evitando la questione. Draghi, invece, non ha mai fatto mistero: sì al MES. Avrebbe optato anche per un apposito disegno di legge che però, forse per questioni tempistiche, non s’è mai fatto. La patata bollente ora è nelle mani di Giorgia Meloni che dovrà sciogliere la matassa. L’Europa fa pressing: l’Italia è attesa ad una risposta di responsabilità. L’idea del governo, spiegata da Giorgietti, è quella di passare per il Parlamento.