Un vaccino a mRna sperimentale sviluppato da Moderna con la stessa tecnica di quello contro il Covid-19, usato in combinazione con Keytruda, un anticorpo monoclonale in uso negli Stati Uniti dal 2017, ridurebbe del 44% il rischio di recidiva nei pazienti affetti da melanoma: sono i primi risultati di uno studio di fase 2 condotto dall’azienda statunitense di pari passo con Merck. “In sostanza, abbiamo ridotto di metà il rischio di decesso”, ha dichiarato Stéphane Bancel, amministratore delegato di Moderna, a margine dell’annuncio globale.
Vaccino cancro a mRna: come funziona e i risultati dello studio
“Abbiamo sviluppato una tecnologia che crediamo sia in grado di insegnare ai linfociti T a riconoscere le cellule cancerose e a distruggerle”, ha spiegato Bancel. Si tratterebbe, dunque, di immunoterapia, come nel caso dei vaccini sviluppati per la prevenzione del Covid-19. Il procedimento è simile a quello di Car-T, una tecnica già utilizzata con successo per trattare linfomi non-Hodgkin e alcuni tipi di leucemia. C’è però una differenza notevole: “Noi stiamo trattando un tumore solido”, ha dichiarato il manager. “Contrariamente a quanto avviene con Car-T, noi non preleviamo il sangue del paziente per ingegnerizzarne i linfociti, bensì effettuiamo una biopsia e poi sequenziamo il Dna sia delle cellule malate che di quelle sane”.
Si tratta di un procedimento che fa rientrare il trattamento nell’ambito della medicina personalizzata, visto che è studiato sul profilo del singolo paziente. Dopo la sequenziazione, i risultati vengono processati da un algoritmo che “analizza le differenze tra le due sequenze, quindi un software evidenzia le 34 mutazioni più importanti”; poi si sviluppa il vaccino, pensato in modo tale che l’mRna iniettato nel paziente insegni ai linfociti T a riconoscere le mutazioni e ad attaccarle. In altre parole, il sistema immunitario viene addestrato a combattere la minaccia, come avviene per la proteina spike del Sar-Cov-2: se questi primi risultati venissero confermati, si tratterebbe di un grande passo in avanti per l’immunoterapia.
Lo studio ha coinvolto finora 157 pazienti affetti da melanoma in stadio III e IV, ovvero quelli in cui il tumore cresce e sviluppa metastasi. In particolare, i soggetti selezionati sono pazienti con metastasi ai linfonodi rimovibili chirurgicamente e con alto rischio di recidiva, pazienti il cui tumore era stato rimosso chirurgicamente 13 settimane prima di ricevere la prima dose di farmaci e pazienti in remissione dopo l’intervento chirurgico. Questi sono stati divisi in due gruppi: al primo è stato somministrato per un anno esclusivamente Keytruda, un anticorpo monoclonale umanizzato che agisce aumentando la capacità del sistema immunitario di combattere il melanoma avanzato; al secondo, invece, sono state inoculate nove dosi di 4157/V940, il vaccino a mRna sperimentale di Moderna, oltre a 18 cicli da 200 grammi di Keytruda, ad intervalli di tre settimane l’uno dall’altro.
Il risultato è che questo secondo gruppo ha mostrato una riduzione del 44% del rischio di recidiva rispetto al primo, trattato solo con Keytruda, che pure aveva già mostrato una riduzione della recidiva del 42% rispetto a quella ottenuta con altri tipi di anticorpi monoclonali, come Yervoy. Ma prima che il trattamento combinato possa arrivare sul mercato, bisognerà aspettare i prossimi passi della ricerca: la terapia con Keytruda e vaccino dovrà cioè superare il trial di fase 3, ovvero quello in cui si valuta il rapporto tra rischi e benefici, arruolando un numero di pazienti nell’ordine delle migliaia e valutandone quindi l’impatto su larga scala. L’obiettivo di Moderna sarebbe anche quello di ridurre da 45 a 30 giorni i tempi di produzione per il vaccino a mRna e fare in modo che possa allargarsi ad altre patologie diverse dal melanoma. “Il meccanismo per trattare altri tumori è il medesimo di quello che abbiamo utilizzato per questo studio. E siccome ha funzionato per questa patologia, vogliamo lanciare una sperimentazione di fase 3 anche per altre”, ha concluso Bancel.